martedì 15 settembre 2009

Intervento di Gianluigi Pegolo al CPN del PRC - 12 /13 settembre 2009

Per esigenza di sintesi, mi concentrerò su alcuni dei nodi posti nella relazione del segretario.
Il primo nodo attiene all’adeguatezza della nostra iniziativa. E’ certamente vero che il presupposto per il rilancio del nostro ruolo è la capacità di attivazione e sostegno del conflitto sociale, ed è altrettanto vero che a questo livello abbiamo molti limiti, specie nella capacità di estendere il nostro intervento. Alcuni segnali di ripresa ci sono, ma non sono sufficienti. Occorre, allora, attrezzarsi per potenziare la nostra iniziativa sociale. Mi chiedo, tuttavia, se questo impegno risolva automaticamente il problema della costruzione del consenso e, cioè, della nostra legittimazione in un’area vasta di opinione pubblica di sinistra.
Ho dei dubbi a tale riguardo. Il limite, infatti, che avverto non sta solo nell’insufficiente iniziativa sociale, ma anche nella capacità di dare alla stessa un respiro politico generale, connettendola con la battaglia contro il governo, riconducendola ad una proposta di uscita dalla crisi che sia compresa a livello di massa e che ci consenta di competere con le altre forze politiche. Questa connessione fra lotta sociale e lotta politica va praticata. Alcune possibilità vi sono. Voglio fare un solo esempio. Fra pochi mesi avremo un appuntamento fondamentale: le elezioni regionali. Penso che prima di parlare di formule delle alleanze sia necessario individuare alcuni contenuti fondamentali, assumendoli come parametri delle nostre scelte. A tale riguardo, credo dovremmo porre nei programmi una richiesta fondamentale: che le regioni si dotino di veri e propri “piani in difesa dell’occupazione e contro gli effetti della crisi”. Penso ad un insieme coerente di proposte che spazino dalla salvaguardia dei posti di lavoro, alla difesa del reddito, a misure di riconversione ecologica dell’economia. Questa proposta consente di definire un insieme di obiettivi socialmente qualificanti, ma consente anche di collegare le vertenze locali con le politiche regionali. Se, poi, una simile proposta venisse praticata attraverso modalità che consentissero una partecipazione diffusa – per esempio attraverso petizioni popolari – potrebbe offrire l’occasione per un’ampia mobilitazione del partito e per una sua visibilità.
Un secondo nodo che vorrei affrontare è quello della proposta politica che c’è stata presentata dal segretario e cioè: l’”alleanza democratica” per un governo istituzionale a tempo limitato che si proponga di varare una nuova legge elettorale proporzionale e di operare un risanamento democratico del paese. Si tratta di una proposta che ha un merito: tenta di rispondere ad una domanda esistente a livello di massa e cioè come costruire le condizioni per battere Berlusconi. Al tempo stesso, si propone di superare il bipolarismo. La proposta ha, però, anche dei limiti: e ancora vaga e va puntualizzata per le sue numerose implicazioni, ma soprattutto essa si proietta su uno scenario futuro all’indomani della caduta di Berlusconi. Mi chiedo: tale caduta è imminente? E se - come io penso – non lo è, cosa rimane della proposta? A me pare che vi sia una sola possibilità per poterla avanzare con un minimo di coerenza: da subito la “questione democratica” ( a partire dalla lotta al pacchetto sicurezza) deve entrare nell’agenda della battaglia di opposizione, facendo crescere un movimento di opinione capace di raccogliere un consenso trasversale. In quest’ambito si colloca anche la questione della legge elettorale. La battaglia per la proporzionale va costruita da subito, se la si vuole ipotizzare in una futura alleanza elettorale, e con strumenti che consentano una mobilitazione estesa e che siano condivisi da un ampio arco di forze. A tale proposito, credo dovremmo assumere l’indicazione di una legge d’iniziativa popolare per la reintroduzione di un sistema elettorale proporzionale a partire dalla proposta che un gruppo di lavoro di cui fanno parte, oltre a noi, altre forze politiche e un significativo numero di esperti, sta elaborando.
Il terzo nodo che vorrei affrontare è quello della federazione. Che vi sia la necessità della costruzione di un polo della sinistra di alternativa non vi è dubbio, ma come costruirlo è questione aperta. Un primo rischio è rappresentato dalla possibilità, molto concreta, che la federazione sia percepita come un semplice contenitore e che come tale sia assai poco allettante. Né credo che puntare tutto sul bisogno di unità a sinistra e illudersi che in ragione di ciò la federazione possa ottenere consensi sia sufficiente. Dopo l’esperienza dell’Arcobaleno, non c’è unità che tenga se questa non comunica valori, se non assume un profilo convincente. Il punto di forza di una sinistra di alternativa può essere solo quello di incarnare una domanda di cambiamento e di esserne interprete conseguente, in primo luogo agendo a sostegno del conflitto sociale. Se non vi è la capacità di assumere tale profilo, i risultati non verranno. L’elemento preoccupante è che nei territori sta avvenendo il contrario di ciò che sarebbe necessario. La federazione viene presentata come un’operazione politicista, senza una caratterizzazione significativa che non sia quella del valore in sé dell’aggregazione. E’ mia convinzione che se la federazione non dimostra da subito la sua utilità sociale – per esempio assumendo come centrale l’intervento sulla crisi – i rischi di fallimento siano molto concreti.
Il problema principale della proposta della federazione sta, però, nella sua compatibilità con lo sviluppo del nostro partito. Che vi sia questa compatibilità non è certo. Dipende dalle regole che la federazione si darà e che fino ad ora non abbiamo avuto l’occasione di approfondire. In presenza di una cessione di sovranità troppo consistente il partito sarebbe destinato a perdere la sua ragion d’essere, ma dipende anche da quanto è forte l’impegno al rilancio del partito. Non mi riferisco solo alla ricerca sul tema del comunismo, ma anche ad un intervento straordinario sul tesseramento, al sostegno all’iniziativa sociale dei circoli, alla formazione dei quadri e via dicendo. Questo impegno – dobbiamo riconoscerlo – oggi non c’è e il rischio che il partito tenda alla consunzione è reale. Qualcuno potrebbe pensare che, dato l’indebolimento subìto dal partito, non vi sia che un’unica possibilità: puntare tutto sulla federazione. Sarebbe un calcolo assai miope. Una federazione senza un forte partito comunista al suo interno non è destinata a durare, senza contare il fatto che l’indebolimento del partito alla fine si trasferirebbe alla federazione facendola diventare poca cosa. Per onestà, devo affermare che su questo punto nel dibattito sono emerse molte ambiguità e reticenze.
E vengo all’ultimo nodo, quello della gestione unitaria. Come ho avuto più volte occasione di ribadire, credo profondamente nel valore del pluralismo e quindi nel coinvolgimento nella gestione del partito di tutte le mozioni. Per questo sono favorevole alla proposta di allargamento della segreteria ai compagni della mozione 2, ma proprio in nome dello stesso principio di pluralismo è necessario che tale allargamento venga rappresentato per quello che è. Per farla breve, si tratta di dar vita ad una segreteria collegiale in cui vi è condivisione su alcune scelte, ma in cui permango differenze sul piano strategico. Da questo punto di vista, alcuni interventi dei compagni della mozione 2 sono stati, a tale riguardo, assai espliciti, marcando differenze di non poco conto sul giudizio sulla linea di Chianciano e sulla stessa idea di unità a sinistra. Allora, laicamente riconosciamo che tutti hanno il diritto a concorrere alla gestione del partito, che un confronto di idee è sempre meglio di una gestione di parte per quanto omogenea, ma non neghiamo le differenze, riconoscendole per quello che sono, specie se sono rilevanti.

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