venerdì 30 gennaio 2009

Le strade SNC (senza numero civico) degli immigrati in provincia di Salerno.

di Cinzia Muro

Luoghi quali San Nicola Varco sono tristemente noti e, quelli sono i posti estremi del degrado dove vivono immigrati, specie, magrebini; ma la realtà delle case snc è un fenomeno vasto, anche se meno evidente di luoghi come l'ex mercato ortofrutticolo.

Vi sono intere strade sulla litoranea che dalla zona Magazzeno - Pontecagnano portano a Battipaglia e zone interne, contrade dell'ebolitano, con vie SNC .

Molte di queste case sono le famose "case al mare" dei salernitani o napoletani meno abbienti, che comunque, con una modica spesa, si sono costruiti questi prefabbricati (nella maggior parte dei casi) che per anni sono stati la "casa delle vacanze".

Con la venuta in modo massiccio degli immigrati in Italia o come domestici o come lavoratori della terra, si è creato un vero mercato immobiliare, spessissimo abusivo, delle "seconde case". A prezzi contenuti (per noi italiani) si danno in fitto catapecchie disagiate, locate in strade senza numero civico.
Questo comporta che spesso il riferimento per la posta dell'immigrato è il bar o la salumeria lungo la strada.
Il problema si pone quando la Questura deve chiamare per l'identificazione per i rinnovi dei permessi di soggiorno o procedure equipollenti, poiché gli indirizzi vengono ad essere incompleti.
Fortunatamente da qualche tempo con l'invio degli sms da parte delle Questure, oppure rivolgendosi ai Patronati o alle associazioni, gli immigrati possono consultare il sito www.portaleimmigrazione.it dove, inserendo username e password delle ricevute delle raccomandate del kit, possono conoscere il giorno e l'orario della convocazione per il foto-segnalamento.
Le case SNC non potranno certo avere l'idoneità alloggiativa da parte dell'ASL o del Comune in caso di ricongiungimento familiare, poiché spesso non vi sono contratti di fitto, bagni idonei, stanze decorose.
La realtà dell'immigrato , tanto sfruttato nelle terre e nelle abitazioni, è purtroppo spessissimo questa.

Cosa possiamo concretamente fare?
Spero in un governo di sinistra , comunista, che possa dare equità e speranza.

Sciopero generale in Francia. 200 cortei e milioni di lavoratori contro Sarkozy

di Tommaso Vaccaro

Lo sciopero generale svoltosi oggi in Francia, ha portato in piazza un milione e mezzo di lavoratori del paese transalpino, contro le politiche economiche del governo e per la difesa dei salari e dei servizi pubblici. Disagi notevoli hanno riguardato soprattutto il settore dei trasporti e quello scolastico, con adesioni che in molti casi hanno toccato il 60% dei dipendenti. Ad astenersi dal lavoro soprattutto i professori della scuola pubblica, colpiti dalla pesante riforma di settore portata a casa dal governo di centrodestra.
Durissimi tagli sono previsti per l’istruzione, ma ciò che ha fatto ancor più imbestialire i docenti d’oltralpe, le limitazioni del diritto di sciopero e la decisione di trasformare le assunzioni a tempo indeterminato in striminziti contratti annuali. Difficoltà anche nel trasporto aereo, con la cancellazione di diversi voli, in banche, ospedali, uffici postali, tribunali e tv pubbliche.
La giornata di mobilitazione, indetta unitariamente dagli otto grandi sindacati, è culminata con oltre 200 cortei altamente partecipati che hanno percorso le vie delle principali città francesi. Un milione e mezzo di persone hanno sfilato a Parigi, Marsiglia, Lione ed in molti altri centri ancora.
In piazza, oltre agli insegnanti, anche infermieri e operai, con cartelli recanti la richiesta di aumenti salariali e tutela dei loro posti di lavoro, messi a rischio in una fase di crisi economica a cui il governo di Parigi non riesce a dare risposte adeguate, secondo quanto affermano i sindacati.
Alla partenza del corteo della Capitale, nel primo pomeriggio, Bernard Thibault della Cgt ha dichiarato come con un “milione e oltre di persone in piazza” siamo a livelli altissimi di adesione all'agitazione. La manifestazione, ha poi detto Thibalult, ha l'importanza e il seguito di quella del 2006 sui contratti di primo impiego “con la differenza che stavolta ci sono molti meno giovani in piazza e tantissima gente impiegata nel settore privato”. Di fronte ad una mobilitazione di queste dimensioni “il governo – ha concluso Thibault – deve sviluppare una nuova consapevolezza e ripensare alle sue misure”. Quello di oggi non è stato, però, secondo il leader della Cgt, “un colpo di collera passeggero”, ma “ci sarà un seguito”.
Dello stesso avviso, Jean-Claude Mailly, del FO che, il quale ha osservato che davanti ad una protesta così larga, “il governo sarebbe irresponsabile a non rispondere” e per Francois Chereque, della Cpe, “ora tocca al governo fare le sue mosse...e intervenire con misure concrete per i salariati”.
Insomma, la palla passa adesso nelle mani di Sarkozy e dell’Esecutivo francese che, fino ad oggi, secondo quanto denunciano i rappresentanti dei lavoratori, si sono occupati principalmente di mettere in salvo dalla crisi economica le banche e le fasce sociali più alte. Ma l’inquilino dell’Eliseo, dal canto suo, fa già sapere di non essere intenzionato a compiere alcun passo indietro. “E’ normale – ha dichiarato Sarkozy – che la gente protesti, è normale che vi siano dei dibattiti”. Il Capo di Stato francese ha affermato di capire “i problemi del potere d'acquisto, delle pensioni, della scuola. Ma devo vedere tutto questo con sangue freddo, con calma, riflettere, non decidere in funzione di quello che c'è scritto sul giornale o di quello che dice chi grida più forte”.
Fonte: dazebao.org

Prc. Gli scissionisti chiedono l’unità, ma guardano a D’Alema

Gianluigi Pegolo (Prc): “La scissione di Chianciano è solo un’operazione che guarda con subalternità al Pd”
di Carlo Sandri


Nella conversazione con Gianluigi Pegolo, membro della segreteria del Prc e responsabile dell’area Democrazia e Istituzioni del partito, abbiamo affrontato, dopo i problemi che compongono il quadro politico e sociale del paese, le questioni più strettamente interne alla sinistra alla luce della scissione di Chianciano. Di seguito il testo dell’intervista.

Se la riforma della legge elettorale per le europee sarà votata così com’è, cosa accadrà alla sinistra?
Vedremo. Oggi occorre rispondere con durezza e gestire una campagna di controinformazione molto efficace. Credo, in particolare, che il Pd debba essere messo di fronte alle sue responsabilità.

Ma cosa cambia nei rapporti a sinistra?
E’ ovvio che se la soglia di sbarramento fosse molto alta occorrerebbe dar vita ad una coalizione elettorale.

E la scissione decretata con l’assemblea di Chianciano?
Questo dimostra ancora di più il paradosso di quell’operazione che per unire la sinistra ha provocato la rottura della sua forza principale. Il dato più evidente è che siamo di fronte ad una scissione senza un progetto chiaro, molto confusa, molto rancorosa. La cosa più paradossale è che in quella riunione, non si è parlato nemmeno dei partner con cui gli scissionisti intendono dar vita al nuovo partito della sinistra. Tutti sappiamo che si punta ad un’unificazione con Sd, ma di questo si è completamente taciuto.

Perché dici che non ha un progetto chiaro?
Chi se ne va da Rifondazione Comunista oggi, si lamenta di una sorta di regressione culturale del partito. Mi chiedo proprio dove sia tale regressione. In realtà la maggioranza sta semplicemente lavorando lungo il percorso della rifondazione comunista che è stata l’ispirazione del partito fin dalle sue origini. La scissione quindi viene motivata con argomenti deboli e strumentali. Ma poi, cosa propone? In sostanza la costituzione di un nuovo partito della sinistra. Su che basi? Se stiamo a prima del congresso, per essere più forti, per incidere di più. Ma, come dicevo, questo approdo si consuma oggi spaccando la più grande forza della sinistra. Non c’è male come paradosso. Senza contare che quel progetto era già fallito con il risultato disastroso dell’Arcobaleno alle scorse politiche.

Fuori dal paradosso, a Chianciano molti sono stati i silenzi, si è messa la sordina sulla possibile, reale, operazione politica, perché sono emersi orientamenti diversi. Una tua ipotesi?
Allora quello che resta è la scissione di un ceto politico che non accetta di aver perso il controllo del partito e tenta di farne un altro. A meno che, in realtà, quel progetto non nasconda un altro obiettivo, che a me pare l’unico argomento politico di una qualche consistenza, e cioè la volontà di fare un’operazione che guarda al Pd. O verso un avvicinamento graduale che si traduca in un’alleanza organica (qualcosa di molto più compromettente del tradizionale centrosinistra), o verso l’unificazione con un pezzo dello stesso Pd, nel caso questo si scinda, con l’approdo definitivo nella costruzione di un partito socialista. Nell’un caso o nell’altro stiamo parlando di una scelta subalterna al Pd nella sua interezza o in una sua parte. Peraltro, le dichiarazione di Rina Gagliardi o di altri su D’Alema, leader di un nuovo partito della sinistra, la dicono lunga sui retro-pensieri del gruppo dirigente degli scissionisti.

Un simile progetto può avere una qualche prospettiva dato lo scenario politico del nostro paese, ma anche europeo?
No, è fallimentare per due ragioni. La prima è che sancisce la rinuncia a svolgere un qualsivoglia ruolo di sinistra alternativa nel paese. E’ cioè – come fu nell’89 il disegno di Occhetto – una scelta di omologazione, il rientro nell’alveo della sinistra moderata italiana. Una ben misera parabola per un personale politico che in questi anni si è nutrito ogni giorno di movimentismo e alternatività. La seconda ragione sta nel fatto che si tratta di un progetto privo di prospettive. Primo, perché chi si illude della scissione del Pd, vive fuori della realtà. Nonostante i fallimenti, ben difficilmente i dirigenti di quel partito si separeranno. Sanno bene che questo significherebbe la loro fine. Secondo, perché un’alleanza organica col Pd porta dritto all’entrata in questo partito, data l’impossibilità di mantenere un profilo autenticamente di sinistra per chi stringe con esso un’alleanza strategica.
Fonte: dazebao.org

Proviamoci anche in Italia

di Dino Greco

Ieri tutta la Francia si è fermata. Si è trattato di uno sciopero generale imponente, che tale è stato fuori da ogni enfasi propagandistica. Proclamato da tutte le sigle sindacali, ha paralizzato il Paese per l'intera giornata. A Parigi, Marsiglia, Lione, Bordeaux, centinaia di migliaia di persone hanno dato vita a grandi cortei.
Ma in oltre duecento città -mentre scriviamo la mobilitazione è ancora in corso- si sono svolte manifestazioni di massa. Le stime, ancora parziali, parlano di 1.500.000 persone coinvolte. Con una novità, per nulla scontata per i transalpini: sono scesi in lotta davvero tutti. Ai lavoratori pubblici, da sempre nerbo delle mobilitazioni, si sono uniti anche pezzi del settore privato, della grande distribuzione, del manifatturiero. Persino i magistrati e financo i dipendenti della borsa di Parigi hanno deciso di interrompere il lavoro. Ma cosa spiega un'adesione corale di queste proporzioni? E quali sono gli obiettivi che hanno unificato sindacati tradizionalmente divisi? Innanzitutto il rigetto di un politica economica del governo accusata di rovesciare sui lavoratori, sulle lavoratrici e sulla parte socialmente più debole ed esposta i costi della crisi, il rifiuto della precarietà che sta compromettendo il futuro di un'intera generazione. Poi, la difesa dei servizi pubblici, contro i tagli alla scuola. E ancora, la questione salariale, con la richiesta di una radicale inversione nella iniqua distribuzione del reddito che ha favorito il capitale ed impoverito il lavoro. De te fabula narratur, viene da pensare guardando ai fatti di casa nostra, dove i medesimi temi si propongono in una versione aggravata: per le condizioni generali del Paese, per la ineffabile inerzia del governo, per la protervia antioperaia della Confindustria e per l'atteggiamento corrivo di Cisl e Uil. Dalla Francia viene ora una scossa salutare. Sarebbe utile, qui da noi, imparare a parlare lo stesso linguaggio. Forte e chiaro. L'unità che si è spezzata fra gli stati maggiori del sindacato può riprendere dal basso. La lotta, quando risponde a bisogni reali, ha sempre un valore costituente: cambia i rapporti di forza, cambia le cose e le persone. Ed esercita una funzione persuasiva anche sui soggetti collettivi. Il 13 febbraio prossimo, metalmeccanici e dipendenti pubblici della Cgil faranno da apripista. La Cgil, da parte sua, indirà assemblee in tutti i luoghi di lavoro e promuoverà il referendum sull'accordo che Cisl e Uil hanno firmato senza alcun mandato. E' da lì che si può ripartire. Avanti, dunque, senza paura.
Fonte: Liberazione

Sbarramento alle europee. Più difficili le alleanze locali con la sinistra

di Carlo Sandri

Intervista a Gianluigi Pegolo (Prc)
La crisi economica brucia posti di lavoro, colpisce pesantemente la qualità della vita di milioni di persone, chi è povero diventa più povero. Siamo di fronte al più grave attacco ai diritti dei lavoratori degli ultimi decenni, la Cgil è sotto tiro perché difende la contrattazione. Parallelamente, i due maggiori partiti, Pdl e Pd, sembrano non interessati a tutto ciò e continuano a guardare solo in casa propria scambiandosi cortesie tutto a vantaggio di Berlusconi.

Partiamo da qui nella conversazione con Gianluigi Pegolo, della segreteria nazionale del Prc, responsabile dell’area “Democrazia e istituzioni,” un settore di lavoro che interviene su questioni “sensibili”, anche di carattere costituzionale. Oggi quella Carta è a rischio.
Quali obiettivi si pone l’accordo fra Veltroni e Berlusconi sulla legge elettorale per le europee?
Mi pare evidente. In primo luogo, quello di creare le condizioni dell’affermarsi di un sistema bipartitico. Con questa legge il PdL fa fuori la destra, il Pd la sinistra, incamerando, o almeno questo si augurano, un po’ di voti aggiuntivi. Resta in ballo l’Udc, ma per questa forza l’appuntamento è rinviato.

Ma il vantaggio che Berlusconi trarrebbe da questa riforma, alcuni dicono, non è particolarmente forte. Anzi, molti si chiedono perché voglia fare l’accordo se, per esempio, deve rinunciare all’eliminazione delle preferenze.
Per questo vi sono due risposte possibili. La prima è che la posta in gioco non riguarda solo la legge elettorale in senso stretto, ma anche altre questioni di natura istituzionale. Si pensi all’esigenza del centrodestra di portare a casa la legge sul federalismo o un provvedimento sulla giustizia o, ancora, la modifica dei regolamenti parlamentari. L’accordo, oggi, sulla legge elettorale consente di ottenere alcuni risultati su questo fronte. Ma vi è una seconda ragione possibile e riguarda non tanto i vantaggi immediati che consente di ottenere la nuova legge elettorale, quanto sui pericoli che può contribuire ad evitare. Mi riferisco, in particolare, all’esigenza di bloccare la formazione di un polo di centro intorno a Casini. Sappiamo che nel Pd vi è fibrillazione da parte dei settori centristi che vogliono un rapporto con Casini e che un domani potrebbero sostenere una scissione. Per converso, problemi analoghi li ha pure Berlusconi con alcune piccole formazioni presenti nel PdL.

Proprio in questo scenario, come valuti l’operazione portata avanti dal Pd nei confronti della sinistra?
Si tratta, com’è evidente, di un puro atto di killeraggio. L’obiettivo è la liquidazione della sinistra, per recuperare un po’ di voti, ma è una prospettiva senza futuro, benché possa fare molti danni. La crisi che vive il Pd non è dettata dalla concorrenza che subisce dalla sinistra, né la liquidazione della sinistra consentirà al Pd un significativo recupero di voti. Il problema dei democratici sta nell’impossibilità pratica a tenere insieme componenti differenti che si dividono fra loro su piani diversi. Questo fa sì che quel partito non sia neppure in grado di fare opposizione. L’eliminazione della rappresentanza elettorale della sinistra significa un ulteriore allargamento dell’astensionismo, anziché la crescita del Pd. Inoltre, a meno di non voler praticare una generalizzata stretta antidemocratica anche nelle regioni e negli enti locali (anche se qualcuno già ci pensa), queste scelte rendono più difficili di prima le alleanze con la sinistra radicale. Il risultato generale è l’impossibilità a competere con la destra e una tendenza al declino politico.

E sul piano sociale? L’ attacco alla Cgil, ai diritti dei lavoratori, alla contrattazione, sono un segnale molto chiaro, ma il Pd non reagisce…
Sul piano sociale, alla sparizione sul piano elettorale della sinistra, corrisponde la mancata rappresentanza di molte istanze che non possono comunque essere rappresentate dal Pd. Ciò può produrre effetti gravi dal punto di vista della coesione sociale, può ribaltarsi sulle forme di conflittualità e può anche condurre a forme di primitivismo politico. Anche per questo l’attacco alla Cgil è molto grave. Lo sciopero della Fiom e della Funzione pubblica, che noi sosteniamo, è da questo punto di vista molto importante.

Dicevi prima che la legge elettorale è merce di scambio per altri provvedimenti, per esempio per la legge sul federalismo fiscale
Certo! Che sia così lo hanno ipotizzato anche molti commentatori politici già nel momento in cui il Pd si è astenuto. Era evidente che si mirava ad una qualche forma di scambio con Berlusconi, anche perché, francamente, quel provvedimento sul federalismo fiscale è pessimo. In effetti si tratta di una legge delega al governo. Anche introducendo alcuni correttivi (come è stato fatto), alla fine sarà il governo a decidere. Inoltre, si tratta di un provvedimento senza alcuna previsione finanziaria. Si può ben capire che ciò introduce un’enorme aleatorietà sul suo significato. Infine, è costruito sulla base di alcuni principi che possono essere devastanti.

E cioè? Poco si è parlato dei contenuti, delle linee guida. I giornali hanno fornito solo dei titoli.
Conformemente agli assunti del federalismo, la legge presuppone che le risorse fiscali prelevate nei singoli territori debbono rimanere in loco, seppure sia previsto un sistema di compensazione attraverso un fondo per il riequilibrio a favore delle aree più svantaggiate. In realtà, nel momento in cui si definiranno le entità dei prelievi fiscali e del fondo perequativo, si scateneranno tensioni fra i territori. Questo è all’origine dei rischi di disuguaglianze territoriali crescenti.

E i costi standard? E’ possibile che un ministro come Maroni, pur ammettendo che non conosce i costi, assicura che saranno bassi quando, invece, economisti di diverse tendenze esprimono serie preoccupazioni?
Si tratta di costi apparentemente razionali dei servizi, ma la loro determinazione è quantomeno discutibile, dato che i servizi si differenziano per qualità e per incidenza della spesa storica. Alla fine vi è il rischio che diventino una sorta di “letto di Procuste”. Se saranno troppo bassi, taglieranno fuori le regioni in cui i costi medi sono più elevati, se sono troppo alti, faranno crescere l’imposizione fiscale. Come si vede i margini di rischio sono enormi.

giovedì 29 gennaio 2009

"Come facciamo a morire in fabbrica se ci ammazzate a scuola?"

Crolla l’intonaco in aula, maestra salva bambini a Castellammare di Stabia
Tragedia sfiorata in classe: in una scuola elementare di Castellammare di Stabia (Napoli), si e' staccato dal soffitto un pezzo di intonaco della dimensione di circa un metro quadrato, mentre i bambini erano ancora in aula. L'insegnante ha notato un rigonfiamento sospetto nell'intonaco, proprio accanto alla porta di ingresso, e ha fatto allontanare gli alunni, prima dell'impatto del materiale, caduto a terra insieme ai fili elettrici e al sistema di illuminazione.
L'incidente e' accaduto nella quarta elementare dell'Istituto Comprensivo Karol Wojtyla, alla periferia Nord di Castellammare di Stabia, a pochi minuti dall'orario della fine delle lezioni. Secondo le verifiche effettuate dai vigili del fuoco e dai tecnici del Comune di Castellammare di Stabia, il crollo non puo' essere attribuito ad alcuna infiltrazione d'acqua dovuta al maltempo.
Fonte: RaiNews24

Europee. Lettera di Paolo Ferrero al Presidente della Repubblica

Mercoledì 28 Gennaio 2009 16:45

Proteste davanti alla sede nazionale del Partito Democratico
ROMA - Questo pomeriggio Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione Comunista era in prima fila davanti alla sede del Partito Democratico nel centro della capitale, per protestare contro l'introduzione alle prossime elezioni europee di una soglia di sbarramento del 4%. "

È un vulnus alla democrazia" - ha detto Ferrero riferendosi all'intesa sulla riforma della legge elettorale voluta dal Pd, Pdl, Idv. - "È scandaloso questo scambio che si è fatto, da una parte Veltroni ottiene di tagliarsi fuori dal Parlamento europeo e dall'altra cede qualcosa a Berlusconi su intercettazioni, federalismo e magari il cda della Rai. Il fatto è che il Pd è in caduta libera e pensa così di salvarsi eliminando un concorrente a sinistra"."E' un vero e proprio colpo di Stato, - ha ribadito Ferrero -una legge ad personam dove Berlusconi favorisce Veltroni, cercando di mettere la sinistra fuori anche dal Parlamento europeo. Ci opponiamo con tutte le forze a questa nuova lesione della democrazia".

Poco prima di tenere questo singolare conferenza stampa, Ferrero ha inviato una lettera al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, auspicando in una risposta tempestiva da parte della massima carica dello Stato.
Illustrissimo signor Presidente, Le chiedo con urgenza un incontro per affrontare il tema del vero e proprio attacco alla democrazia che maggioranza e opposizione parlamentare intendono compiere approvando, a soli 4 mesi dal voto, una riforma della legge elettorale per le prossime elezioni europee che prevede un'unica clausola, l'innalzamento della soglia di sbarramento al 4%. Si tratta di un modo per uccidere la sinistra nel nostro Paese per via elettorale senza alcun rispetto delle opinioni dei cittadini italiani e senza alcun legame con l'esigenza della governabilità, problema che in sede europea non esiste. Le chiedo dunque di vederLa per spiegarLe le ragioni della nostra contrarietà di fronte a quella che riteniamo una vera lesione delle regole democratiche.
Fonte: dazebao.org

Sinistrati e sbarrati

Per le europee “inciucio “ Pdl e Pd. In vista sbarramento al 4%

Il democratico Soro dà il via libera alle proposte del ministro Vito concordate con Berlusconi. Dura reazione di Rifondazione comunista. Idv: ipotesi priva di senso

Si torna a parlare dello sbarramento al 4% per quanto riguarda le prossime elezioni europee. Questa volta non si tratta solo di indiscrezioni, di “ voci” sui numerosi incontri che si sono susseguiti fra Elio Vito, ministro per i Rapporti con il Parlamento e i rappresentanti dell’opposizione parlamentare, del Pd in particolare.
Da diversi giorni un testo era pronto per venire alla luce del sole, uscire dalle nebbie degli incontri riservati. Mancava solo l’assenso di Berlusconi. Oggi questo assenso deve essere arrivato, tanto che ha preso il via una consultazione ufficiale. Il ministro Vito ha incontrato per primo il capogruppo alla Camera del Pd. Soro e i suoi due vice, Marina Sereni e Gianclaudio Bressa che, registrando una “possibile convergenza” hanno dato il via libera del partito di Veltroni sulla proposta di una soglia di sbarramento al 4%, appunto, come unica modifica all'attuale legge elettorale per le prossime elezioni europee. L’Udc si esprimerà domani, mentre l’Idv di Di Piretro, ha già fatto sapere che l’ipotesi sarebbe priva di senso. Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione comunista, riferendosi alle dichiarazioni rilasciate da esponenti dei due schieramenti parlamentari le definisce “gravissime e vergognose”.
“La scelta consociativa che emerge tra maggioranza di centrodestra e opposizione di centrosinistra – afferma il leader di Rifondazione – è quella della modifica delle regole del gioco per lezioni in corsa, a quattro mesi dallo svolgimento delle elezioni stesse, un atto mai visto, del tutto antidemocratico e decisamente dal sapore golpista. Introdurre la soglia di sbarramento, per di più al 4%, per le Europee non ha alcun senso logico e nessun rapporto con la governabilità, che con il Parlamento europeo non c'entra nulla. L'unica motivazione è impedire alla sinistra di entrarci.”“Dopo le lacrime di coccodrillo versate ad aprile dell'anno scorso per l'esclusione della sinistra dal Parlamento italiano – prosegue Ferrero – si cerca di escluderla anche da quello europeo con un atto antidemocratico e con il chiaro obiettivo di ucciderla per sempre. Si sta consumando un inciucio in cui evidentemente il Pdl ha ottenuto il via libera del Pd su federalismo fiscale e cda Rai e in cambio è pronta a garantire a Veltroni la possibilità di raggranellare qualche voto in più, visto che è in calo di consensi”.
Amara la conclusione di Paolo Ferrero: “Veltroni così cerca di distruggere per sempre la sinistra: lo ha fatto con la logica del voto utile alle politiche, cerca di farlo ora per legge alle prossime europee.Si tratta di una logica folle e suicida che avrebbe un solo unico risultato: permettere alle destre di governare il nostro Paese per i prossimi quarant’anni.”
Fonte: dazebao.org

"Padroni all'arrembaggio. Serve una Cgil di lotta"

di Fabio Sebastiani

A colloquio con Giorgio Cremaschi, segretario nazionale Fiom
Sul salario siamo alla guerra di cifre tra Cgil e Confindustria. Dove sta l'inghippo?
Il fatto che la Confindustria imbrogli così clamorosamente sui soldi indica che ha paura. Non c'è un lavoratore in Italia che creda davvero che avrà più salario. Il centro studi della Confindustria è gente poco seria. Mescolano statistiche con promesse. Le stesse dell'abolizione della scala mobile. Questo accordo separato taglia i salari e distrugge il contratto nazionale.

Nel merito?
Taglia i salari perché assume come riferimento rigido e obbligatorio un indice di inflazione dato da un ente esterno e depurato dai costi dell'energia. Questa è matematicamente la riduzione del salario. E' bene ricordare che l'inflazione programmata del Governo era più o meno la stessa cosa, solo che allora c'era la possibilità di non tenerne conto quando non fosse stata concordata. Così invece avremmo una inflazione programmata che diventa obbligatoria. Per fare un esempio sul contratto dei metalmeccanici, l'ultimo accordo ha dato 127 euro su due anni e mezzo. Se avessimo dovuto applicare il nuovo accordo, dove tra l'altro si dovranno prendere a riferimento per gli aumenti paghe più basse di quelle che abbiamo preso a riferimento noi, avremmo avuto un aumento tra i 70 e gli 80 euro su tre anni.

Confindustria trucca le carte?
Sono degli imbroglioni. E l'imbroglio purtroppo verrà fuori alla prima trattativa contrattuale perché loro calcolano come se tutti i lavoratori lavorando di più guadagnassero di più. Nella sostanza, tagliano i soldi del contratto nazionale promettendo che azienda per azienda lavorando di più prenderanno di più. E' tutto finto. Mentono sapendo di mentire.

E comunque hanno un'arma in più, la deroga. Giusto?
Il principio della deroga al contratto nazionale è incostituzionale. Mi vergogno per quei sindacalisti che l'hanno firmato. Sottoscrivere che a livello aziendale e territoriale si possono fare accordi, nel nome dell'occupazione, che non applicano più i minimi salariali, gli orari, i diritti previsti del contratto nazionale, significa distruggere l'essenza stessa del contratto nazionale e cioè che esso vale sempre e comunque e per tutti e tutte. D'altra parte il senso dell'accordo è quello di cambiare la Costituzione del sistema sindacale, dagli enti bilaterali all'arbitrato alla centralizzazione burocratica delle relazioni sindacali si scrive un nuovo modello autoritario. Autoritario anche nella forma, visto che viene concordato escludendo la Cgil e negando il diritto dei lavoratori a decidere.
Questo sembra essere un accordo senz'anima. E se ce l'ha è nera. Almeno nel '93 c'erano degli obiettivi.
Quest'accordo è solo peggiorativo del '93. Quello del '93 andava migliorato. Qui si risolvono in peggio i punti critici. A livello aizendale non si estende di un centimetro quadrato l'area della contrattazione aziendale che resta esattamente quella di prima, ma in più si vincola il salario alla produttività. E' una vittoria su tutta la linea degli industriali più aggressivi cioè, per essere chiari è un disegno sociale che dice che la crisi la pagano i lavoratori con il loro costo della lavoro e che la competitività si fa tagliando i salari e aumentando lo sfruttamento.

Se si esce dalla crisi si esce dalla porta di servizio?
Questo è l'accordo della complicità. Si punta all'idea che imprese e lavoratori azienda per azienda devono essere complici dimenticando qualsiasi diritto universale. Nella sostanza questo accordo è il proseguimento delle politiche liberiste che stanno fallendo in tutto il mondo. E' come se alla borsa di New York non fosse successo nulla.

Evidentemente, in Italia le notizie di New York non arrivano...
In Italia è stato possibile per l'arroganza e l'arretratezza del padronato, perché abbiamo al governo una destra che per sua natura nega la crisi e, soprattutto, le sue cause; e perché una parte del sindacato e gran parte dell'opposizione politica sono ancora totalmente subalterni all'ideologia liberista che ci ha portato al disastro.

La politica sembra volersi tenere distante dal merito di questo accordo separato...
Mi ha colpito l'intervista di Veltroni sul Sole 24 ore dove sostiene che per pagare la cassa integrazione ai precari bisogna tagliare i rendimenti delle pensioni. Se il segretario dell'opposizione è più berlscuoniano di Berlusconi è chiaro perché si finisce in questi accordi. L'Italia è un paese dove l'unico conflitto che si vuole impedire ed esorcizzare è quello dei lavoratori contro le imprese; mentre si alimentano tutti gli altri conflitti. Un accordo così ridicolo e pericoloso è possibile solo perché la politica e una parte del sindacato italiano sembrano ancora la succursale di propaganda della Lehman Brothers.

Succederà come con l'Alitalia, per la Cgil ci sarà un secondo tempo?
E' su questo che sta provando Veltroni. Dio ce ne scampi e liberi. La verità è che la Cgil si è trovata nella posizione di interpretare un ruolo molto più ampio, quello di rispondere a tutta quella parte dell'Italia, che non è solo nel mondo del lavoro, che non crede più alle ricette berlusconiane e che è molto più ampia di quello che appare nelle istituzioni. Proprio per questo la tenuta della Cgil è ciò che può scardinare il disegno liberista. Che può funzionare solo con la complicità di tutti, altrimenti salta. Ripeto, le imprese hanno paura che l'accordo non funzioni e per questo sperano che nel giro di qualche mese la Cgil torni all'ovile sottoscrivendo domani quello che oggi respinge.

Però in Cgil c'è molto dibattito proprio su questo.
E' chiaro che c'è stata una evoluzione nelle posizioni della Cgil, che è sciocco negare. Così come è sbagliato dimenticare gli errori anche gravi fatti. Insomma, la Cgil è entrata dentro questa trattativa con una linea di prudente concertazione che è stata travolta dai fatti, e che ora la pone di fronte a un bivio. O fare un po' di chiasso e poi andare a Canossa, oppure costruire una linea di conflitto sociale duratura che facendo saltare l'accordo della complicità apra la via a un diverso modo di affrontare la crisi. E' chiaro allora che la lotta contro l'accordo è assolutamente parallela a quella contro i licenziamenti, il precariato, la chiusura delle aziende, le privatizzazioni. Su entrambi i fronti, quello del salario e dell'occupazione ci battiamo contro lo stesso disegno liberista di politica economica e sociale.

Questo accordo con la Fp/Cgil che prospettive apre?
Fiom e Funzione pubblica hanno il merito di aver detto basta per primi, credo che un po' alla volta lo faranno anche altri. Sotto questo aspetto il 13 febbraio va considerato non solo come, giustamente, il primo appuntamento del no all'accordo della complicità, ma anche l'avvio di un processo più ampio di ricostruzione del conflitto e della solidarietà nel mondo del lavoro.
Fonte: Liberazione

mercoledì 28 gennaio 2009

L'accordo Veltroni-Di Pietro-Berlusoni - sullo sbarramento alle Europee: 4% una scelta liberticida contro la sinistra.

di Gianluigi Pegolo*
L’intesa fra Pd, Italia dei Valori e Berlusconi per lo stravolgimento della legge elettorale europea, con l’introduzione di una soglia dello sbarramento del 4%, è una scelta liberticida che ha un unico obiettivo: liquidare la sinistra per dare via libera al bipartitismo. Ora, finalmente, si capiscono i motivi per i quali Pd e Italia dei Valori si sono astenuti sul provvedimento sul federalismo fiscale che rappresenta una minaccia evidente all’unità del Paese e all’universalità dei diritti.

L’astensione è stata la merce di scambio per ottenere altri favori, primo fra i quali l’eliminazione dei concorrenti a sinistra nelle elezioni europee.
Se il Pd pensa in questo modo di risalire la china del consenso, sempre più eroso, si sbaglia di grosso. Non solo in questo modo si rompono i rapporti a sinistra, con ciò mettendo in forse molti governi in regioni, province e comuni, ma soprattutto ci si rassegna all’affermazione della definitiva supremazia del centro destra.

*Membro della Segreteria nazionale PRC - Area Democrazia e Istituzioni

Il Partito democratico sul federalismo, una soddisfazione del tutto fuori luogo


di Gianluigi Pegolo*


La soddisfazione (seppure temperata da alcuni rilievi critici) espressa dal Pd per l'approvazione al Senato del disegno di legge sul federalismo fiscale è del tutto fuori luogo. Peraltro, le dichiarazioni entusiaste espresse dalla Lega dopo il voto avrebbero dovuto indurre gli esponenti del Pd a porre maggiore cautela, ma è del tutto evidente che nel voto di astensione dato al provvedimento ha pesato moltissimo la volontà di costruire un ponte col governo - e in primis con la Lega - e molto l'incapacità di avanzare una proposta alternativa, una volta che il federalismo è diventata la bandiera di una parte cospicua degli amministratori locali di quel partito.

Veltroni ha anche adombrato la possibilità di mutare atteggiamento (votando contro alla Camera) se non verranno date risposte convincenti in merito ai riflessi finanziari del provvedimento o se non si darà il via alla riforma del Senato federale e alla riduzione del numero dei parlamentari, ma in realtà queste dichiarazioni non fanno che rafforzare ancora di più l'impressione generale e cioè che il Pd ha fatto un'operazione tatticista, nel tentativo di rientrare in gioco per condizionare la politica del governo su altri temi.

Questa impostazione - peraltro sostanzialmente condivisa dall'Idv - è perdente, oltre che pericolosa. Le modifiche ottenute dal Pd limitano gli effetti imprevedibili del provvedimenti, ma non ne modificano la logica complessiva che resta quella - per l'appunto tipica del federalismo - del trattenimento in loco delle risorse fiscali, principio che inevitabilmente apre la strada alla differenziazione territoriale dell'offerta dei servizi e della gestione della spesa e quindi delle condizioni sociali. Solo un inguaribile approccio tecnicistico può far pensare che la deterrenza alla disarticolazione territoriale dei diritti possa venire dall'introduzione di fondi perequativi o dalla definizione dei costi standard. Una volta assunta quell'impostazione le spinte alla differenziazione diventeranno fortissime.

Peraltro, conviene riflettere su alcuni limiti evidenti che già ora presenta il provvedimento. In primo luogo, si tratta di un provvedimento di delega al governo; come tale (anche in presenza di una commissione parlamentare per l'esame dei decreti attuativi) tutte le scelte chiave saranno in larga misura accentrate. In secondo luogo, è del tutto sconosciuta la dimensione economico-finanziaria dell'operazione federalista. Tremonti non ha detto una parola a tale proposito e ben si capisce che senza questa specificazione il provvedimento può dar luogo ad effetti del tutto diversi, a maggior ragione se consideriamo gli impatti imprevedibili della crisi.

Ma al di là di questi rilievi, peraltro giustamente denunciati oltre che dall'Udc che ha votato contro, anche da esponenti dello stesso Pd, restano in ballo questioni fondamentali. Si pensi alla struttura impositiva. I vari livelli istituzionali disporranno di tributi propri ma il grado di autonomia nella loro gestione è ancora vago. Non solo, il meccanismo prevede come mezzo per il riequilibrio territoriale nella distribuzione di risorse l'utilizzo di un apposito fondo perequativo, che però dipenderà in ultima analisi - è ragionevole sostenerlo - dalla pressione congiunta dell'insieme dei territori, ivi compresi quelli meno interessati a potenziarne l'utilizzo, senza contare l'indeterminatezza del suo funzionamento nel caso di province e comuni. A sua volta, il calcolo dei costi standard dei servizi essenziali, si scontra con la diversità dell'offerta qualitativa sui territori, oltre che con la diversa incidenza della spesa storica. Da un simile guazzabuglio cosa ne può derivare?

Fra l'altro, può prodursi un'insufficiente distribuzione di risorse per le aree più deboli, con la crescita dei differenziali di sviluppo regionali; ma può al tempo stesso determinarsi la moltiplicazione dei canali di prelievo con l'aumento globale della pressione fiscale. Molto dipenderà dagli orientamenti del governo, che peraltro non sono tranquillizzanti. Quel che è certo è che il meccanismo in sé non evita questi rischi e che anzi tende a sollecitarli. Il motivo è semplice: la gestione su base territoriale delle risorse mette a rischio l'universalità dei diritti, mentre - nel contempo - non dà certezza sulla tanto auspicata ottimizzazione della spesa.


*Membro della Segreteria nazionale del PRC

Comune di Napoli. Ferrero: Prc fuori dalla Giunta, dentro la società


di Giuliano Pennacchio


Nel capoluogo partenopeo Rifondazione non va al governo della città con Iervolino e “valuterà atto per atto” l’eventuale sostegno. Il ceto politico verso la scissione, ma la base resta con il Prc
NAPOLI - Dopo la tempesta dello scandalo Global Service, che ha visto indagati ed arrestati alcuni assessori della Giunta Iervolino ed il suicidio dell’assessore Nugnes vi è stato, agli inizi di gennaio, l’elezione di un nuovo esecutivo cittadino. Rifondazione Comunista ridefinisce il proprio rapporto con il centro-sinistra e lo fa alla presenza del segretario nazionale del partito Paolo Ferrero.
La conferenza stampa, convocata per oggi alle 11.30 presso la sala multimediale del Palazzo Comunale in via Verdi, ha visto la partecipazione, ovviamente, dei consiglieri comunali Fucito e Carotenuto, ma anche di altri rappresentanti istituzionali del PRC, a partire dall’Assessore regionale Corrado Gabriele e dal capogruppo alla provincia Mario Guida.
La delibera del Comune di Napoli sulla gestione del patrimonio abitativo ebbe la forte opposizione dei consiglieri comunali Fucito e Carotenuto, che chiesero una commissione di inchiesta sulla gestione degli alloggi pubblici da parte di Romeo, ma fino ad oggi negli echi di cronaca non vi è stata nessuna traccia di ciò. La denuncia dei consiglieri comunali è passata sotto silenzio.
A Napoli si è evidenziato una forte crisi della politica, determinata dall’esplosione della questione morale. Il partito di Ferrero aveva chiesto un forte segnale di discontinuità per recuperare il rapporto con la città. Nessun posto in Giunta ma alcuni punti qualificati di programma, tra cui il risanamento ambientale di Bagnoli con la rimozione della colmata a mare. Questo non è avvenuto e l’appoggio che il PRC darà alla Iervolino verrà valutato caso per caso. “Il Prc non è più in giunta a Napoli e non chiederà di entrare. Valuteremo atto per atto”, ha dichiarato Ferrero.Un ruolo da cerniera, quello che il PRC vuole esercitare tra le questioni sociali e l’amministrazione comunale.
Si è chiuso un ciclo di governo della città; da più parti si richiede la riapertura di una discussione per ricostruire un’alternativa. Riaprire uno spazio pubblico con le forze sociali e culturali partenopee per rimettere a tema la trasformazione della città. Il governo degli enti locali non può tener conto della crisi economica in atto. Nei Comuni non è indolore se si attuano politiche che impediscono l’innalzamento delle tariffe pubbliche o che mantengano i beni comuni sotto il controllo dell’ente, scongiurandone la privatizzazione.
La discussione a Napoli sull’esperienza della Giunta di centrosinistra risente, ovviamente, della scissione dal PRC di parte dei sostenitori di Vendola, che si sta consumando in queste ore. Dal partito di Napoli se ne vanno l’assessore comunale Riccio, il segretario provinciale De Martino e quello regionale De Cristofaro. Il segretario nazionale, dopo aver puntualizzato che “non è una emorragia, è una scissione”, ha poi aggiunto che questa scelta di una parte dell’ex mozione due “indubbiamente indebolisce il Prc. Ed è per questo che è una scissione sbagliata”. D’altro canto, secondo Ferrero, “la nostra collocazione politica attuale ci consente però di avere un profilo chiaro” e, oltretutto, “La nuova formazione [di Vendola ndr. ] non ha alcuno spazio, cerca di costruirne uno artificialmente. Qualcuno, infatti, già fa il tifo per D'Alema segretario...”.
Tornando a Napoli, l’esodo da Rifondazione riguarderà un ceto politico ristretto, ma non la base. La stragrande maggioranza degli iscritti, quasi tutti gli ottanta Circoli della federazione napoletana si sono infatti espressi per la continuazione dell’esperienza di Rifondazione Comunista.
Un percorso politico che vuole coniugare la lotta per i diritti sociali con quelli civili; continuando e rinnovando il processo della rifondazione comunista, dal basso a sinistra.

Fonte: Dazebao

Dopo Chianciano II, intervista a Ferrero: "Autonomia dal PD e unità della sinistra"

Uguaglianza e libertà: ecco il cuore vitale della rifondazione comunista.


di Dino Greco*


«Io, sinceramente, non so chiamarla in altro modo che scissione». Paolo Ferrero, segretario nazionale del Prc, definisce così la scelta di Nichi Vendola e degli altri esponenti della minoranza del Prc che da Chianciano hanno definito il loro gesto come un addio, un "partire" verso nuovi lidi e nuove imprese politiche. Una scelta che per il segretario del Prc è frutto di un importante "errore di valutazione" sulle ragioni della sconfitta. E che colloca l'iniziativa degli scissionisti su un terreno di subalternità al moderatismo del Pd, anziché su quello della costruzione democratica di una nuova "utilità sociale della sinistra". Obiettivo rispetto al quale il fallimento delle esperienze di governo e di alternanza dimostra che "non c'è scorciatoia a un cammino non politicista di costruzione di diversi rapporti di forza tra la sinistra di alternativa e il centrosinistra".
Una divisione non può mai essere giudicata in modo positivo. Quali sono a tuo avviso gli elementi che hanno prodotto questa frattura?
Penso che il punto di fondo che ha portato alla scissione riguardi due elementi.
Il primo è la totale incomprensione delle ragioni della sconfitta elettorale. Non si è capito che la Sinistra arcobaleno ha perso innanzitutto perché non era stata in grado di svolgere un ruolo positivo nella vicenda del governo Prodi. Cioè non si è capito che quel percorso che noi pensavamo servisse a costruire l'alternativa si è rivelato una pura alternanza in cui le nostre istanze di cambiamento sono state ignorate. L'alternanza si è mangiata l'alternativa. Questo a mio parere è l'errore politico di fondo a causa del quale questi compagni, anziché pensare di dover ricostruire le ragioni dell'alternativa, come ha fatto il Prc dopo il ‘98, propongono uno sbocco politico di ulteriore riavvicinamento al Pd; sino all'ipotizzare di costruire un partito di cui sia leader D'Alema.
E il secondo elemento?
Riguarda l'abbandono di qualsiasi riferimento al comunismo. Il Prc ha potuto giocare il proprio ruolo proprio in quanto ha tenuto insieme i due termini: rifondazione e comunista. E attraverso ciò ha prefigurato un'uscita da sinistra dalla crisi del comunismo e ha combattuto l'occhettismo. Mi pare invece che questa scissione si collochi del tutto dentro il filone occhettiano. Ma accanto a questo c'è anche un ulteriore elemento, che attiene alla cultura politica.
E cioè?
Cioè l'incapacità di fare i conti fino in fondo con la democrazia e quindi di accettare la possibilità di essere minoranza. Questo segnala, secondo me, una discrasia enorme tra parole e fatti, perché uno degli elementi della rifondazione comunista su cui abbiamo sempre insistito è proprio la intangibilità del tema della libertà, quindi della democrazia. Credo di poter rilevare questa distanza tra parole e fatti anche nel tipo di polemica rivolta al Prc: la falsità nell'attribuzione delle posizioni e la denigrazione hanno caratterizzato quest'ultimo periodo in modo tragicamente monotono. Evidentemente in questa cultura politica ristagna un pezzo di stalinismo pratico.
Un giudizio aspro. Da segretario del partito, che valutazione complessiva fai della rottura e delle sue conseguenze?
La considero grave e dolorosa. Penso sia contraddittoria, in quanto si fa una scissione in nome dell'unità della sinistra. Eppoi perché, come sempre, quando c'è una scissione il risultato vero è che in primo luogo si rischia di mandare a casa un sacco di persone, di deluderle, demotivarle. La definizione che mi sento di usare è la medesima che usammo nel documento del IV congresso di Rimini, dopo la scissione di Armando Cossutta. Dicemmo: "La scissione si è rivelata inoltre dannosa per l'insieme della sinistra. Nel contesto della crisi della politica, ha introdotto ulteriori elementi di non credibilità dell'insieme della sinistra, della sua capacità di confronto, di determinare aggregazioni, risposte unitarie, intese. Ancora una volta affiora invece la tendenza alla separazione nell'insieme della sinistra, alla divisione delle esperienze organizzate, alla prevalenza dell'incomunicabilità, appena appare un dissenso, senza misurare fino in fondo il suo grado di compatibilità con gli obiettivi strategici".
Richiami appunto un'altra rottura del passato. Sembra che la sinistra abbia un'incapacità di superare la dicotomia autonomia-unità e una difficoltà a corrispondere alle istanze unitarie del proprio popolo. Sembra che le sconfitte ingenerino piuttosto sentimenti di rivalsa come in effetti si sono registrati già nel clima congressuale…
Penso che il nostro problema sia di saper coniugare l'esercizio della democrazia nelle scelte interne - cioè il fatto che i congressi devono servire a decidere in modo chiaro la linea politica - e la scelta della gestione unitaria del partito. Non va applicato lo schema per cui chi vince prende tutto. Bisogna invece tenere insieme la scelta dell'indirizzo politico con la tutela della comunità. E' per questo che avevo proposto la gestione unitaria dopo il congresso e la ripropongo oggi. A differenza di quel che facemmo dopo Venezia, quando alle minoranze venne indicata la porta. In questo, secondo me, c'è un passaggio della rifondazione sinora rimosso e che dobbiamo assolutamente praticare. Senza arrenderci.
Proprio a partire dalla valutazione della sconfitta, si pone però anche il tema dell'efficacia politica della sinistra, che tu stesso hai sollevato sin dal congresso.
Penso che oggi il tema fondamentale sia la costruzione di un'efficace opposizione di sinistra. E che questo tema lo si possa affrontare unicamente se si ha la più piena autonomia dal Pd, che sulle questioni principali - penso al federalismo, la riforma della contrattazione, la riforma della giustizia - bene che vada, è incapace di assumere una posizione efficace, mentre nella peggiore delle ipotesi è dannoso. La questione è come si costruisce una sinistra autonoma dal Pd che sappia, come abbiamo fatto a partire dalla manifestazione dell'11 ottobre, entrare in relazione positiva con le mobilitazioni della Cgil e del sindacalismo di base. Importantissimo sarà lo sciopero generale della Fiom e della Funzione pubblica del 13 febbraio. Quindi il tema è quello della costruzione unitaria di un movimento di massa contro il Governo e la Confindustria, come abbiamo fatto dopo Genova. Qui sta il tema politico dell'efficacia. Che non richiede solo autonomia dal Pd, ma comporta la costruzione di un progetto che preveda da un lato la ricostruzione del senso della politica e dall'altro l'uscita da sinistra dalla crisi. Per questo abbiamo proposto e continuiamo a proporre il coordinamento di tutte le forze di sinistra: per ricostruirne l'utilità sociale.
Quindi non escludi a priori rapporti unitari a sinistra?
Certo che no, ma questi non vanno letti in chiave politicista. Ricostruzione del senso della politica, per me vuol dire non essere accecati da una centralità ossessiva delle relazioni istituzionali, ma saper ridislocare la nostra azione nella società, sia nella costruzione del conflitto sia nella costruzione di forme di mutualismo. Quello che abbiamo chiamato il partito sociale. Per quanto riguarda il progetto di uscita da sinistra della crisi, il punto è coniugare la battaglia per la redistribuzione del reddito e del potere con la proposta di un intervento pubblico centrato sulla riconversione ambientale e sociale dell'economia. In questo quadro, visto il ruolo che il razzismo e il sessismo hanno nella costruzione politica del blocco dominante, è evidente che non vi può essere alcuna separazione tra la lotta per la libertà e quella per l'uguaglianza, tra gli interessi materiali e i valori.
Tu dici che l'alternanza si è mangiata l'alternativa. La destra, tuttavia, è riuscita a realizzare nell'alternanza una vera e propria alternativa radicale. Perché le forze progressiste non dovrebbero esserne capaci?
E' vero. In America latina la sinistra usa il terreno elettorale per costruire l'alternativa. Credo che il problema sia dato dai rapporti di forza tra la sinistra moderata e quella radicale. Con i rapporti di forza attuali non c'è nessuna possibilità di poter utilizzare l'alternanza per costruire l'alternativa. Ce lo hanno dimostrato i due governi Prodi. Quindi non c'è scorciatoia a un cammino per costruire diversi rapporti di forza tra noi e il centrosinistra, per rilanciare il progetto della rifondazione comunista.
In che senso rifondazione e in che senso comunista?
La dialettica tra questi due termini è il punto costitutivo del nostro partito. Se ne abbandoni uno la dialettica non esiste più, perché essi si qualificano a vicenda. Il comunismo parla della centralità della trasformazione sociale, dell'anticapitalismo. Rifondazione parla della necessità di imparare dai nostri errori guardando alla storia del comunismo medesimo, proprio per non ripeterli e per abbandonarne gli elementi negativi che in quella storia si sono manifestati, in primo luogo dove si è preso il potere. Ma non solo. Non è un caso che nel congresso abbiamo detto no alla costituente di sinistra e no alla costituente comunista. Perché entrambi questi progetti avrebbero sfigurato, annichilito, il progetto politico della rifondazione.
Detto in sintesi, quale progetto?
Se dovessi definirlo brevemente direi la prevalenza della ricostruzione del tessuto dell'alternativa sulle relazioni politiche, la chiarezza strategica sull'alternatività del nostro progetto rispetto a quello del Pd, l'unità inscindibile tra lotta per la libertà e lotta per l'eguaglianza, l'ingaggio contro lo sfruttamento nelle sue diverse connotazioni (del lavoro, dell'uomo sulla donna, dell'uomo sulla natura…), la centralità della battaglia per la pace. E la consapevolezza della non autosufficienza del Prc. Questo vuol dire non solo lavorare a coordinare la sinistra e l'opposizione, ma che bisogna riconoscere il pari valore delle mille forme di attività e di iniziativa politica dell'associazionismo e dell'autorganizzazione, nonché dei diversi percorsi con cui si può maturare una scelta anticapitalista. E in Italia, per esempio, salta agli occhi quella del volontariato cattolico e di matrice religiosa. Lo ripeto, per me punto di fondo è che non vi sono scorciatoie a questa dialettica tra rifondazione e comunismo.

Fonte: Liberazione


*Direttore di Liberazione

Migliore: un addio definitivo al Prc. Pegolo: scelta sbagliata e perdente

di Alessandro Cardulli
“La scelta di lasciare Rifondazione è stata compiuta con l’assemblea di Chianciano.” Gennaro Migliore che ha “gestito” la parte politica dei lavori, quella conclusiva in particolare, chiude la porta a diverse interpretazioni sulla nascita e sul significato del “ Movimento politico per la sinistra”. Taglia la testa al toro l’ordine del giorno sottoscritto da chi ha aderito al neonato soggetto approvando la relazione di Nichi Vendola e votando per i dieci coordinatori provvisori, cinque uomini e cinque donne.

“Io – sottolinea l’ex capogruppo alla Camera – non ho mai parlato e non parlo di scissione, una parola che preferisco non usare. Non cerchiamo la contrapposizione con Rifondazione. Semplicemente abbiamo avvertito, sentito viva l’esigenza di sperimentare nuove forme politiche, fuori dal partito, che riteniamo più consone e più efficaci per la costruzione di un nuovo soggetto politico della sinistra. Il nostro impegno è volto a costruire un nuovo spazio politico. Per questo, da subito, portiamo il dibattito nei territori. Anche per quanto riguarda le prossime elezioni – conclude – non ci mettiamo contro il Prc, ma, in positivo, ci rivolgeremo a tutti coloro che condividono il percorso che ci deve portare ad una nuova forza della sinistra”.
Giunge la prima risposta da Rifondazione che, stamani, ha riunito la segreteria, del resto già convocata. Gianluigi Pegolo, che nella segreteria ricopre l’incarico di responsabile dell’area Democrazia e Istituzioni, ritiene “sbagliata, perdente” la scelta compiuta e che – afferma – “ha trovato oppositori non solo fra coloro che, pur facendo parte della mozione due, avevano sottoscritto l’appello contro la scissione, prendendo la parola all’assemblea di Chianciano per spiegare le ragioni per cui rimanevano nel partito. Dubbi e preoccupazioni – prosegue l’esponente del Prc –sono state espresse anche nei due giorni di dibattito, tanto che il documento predisposto per raccogliere le firme di chi intendeva lasciare il Prc, è stata accantonato e sarà portato alla discussione nei territori. Malgrado tutto ciò, la scelta di lasciare, di abbandonare il partito è stata definitivamente presa con la firma che i singoli partecipanti hanno apposto ad un ordine del giorno di adesione al nuovo “Movimento politico per la sinistra” e l’approvazione della relazione di Nichi Vendola. L’assemblea di Chianciano – conclude Pegolo – non è stata neppure in grado di definire il percorso e il punto di approdo di quello che dovrebbe essere il nuovo soggetto politico della sinistra. Proprio Vendola nelle conclusioni ha dovuto parlare di ricerca, sperimentazione di nuove forme, di approssimazione. Com’è noto in politica, in particolare in presenza di elezioni e, fra queste, quelle per il Parlamento europeo con la minaccia di sbarramenti, non ci si possono permettere approssimazioni sulla pelle delle persone. Noi opereremo a partire dalla campagna di tesseramento per difendere e rafforzare Rifondazione, anche a fronte delle lotte che devono essere portate avanti contro il governo delle destre e la Confindustria.”.
Rifondazione per la sinistra esiste ancora
Qualche equivoco si è creato anche a proposito dell’area congressuale “Rifondazione per la sinistra”. Nichi Vendola, concludendo i lavori, riferendosi al manifesto che aveva pubblicizzato il seminario, poi diventato assemblea, aveva annunciato che quella sigla non esisteva più. Il riferimento era al nuovo “Movimento politico per la sinistra”, tenuto a battesimo al Palazzo dei congressi della cittadina termale, dove già si era tenuta a fine luglio l’assise del Prc. Dal palco erano stati staccati i manifesti e diversi partecipanti all’assemblea se ne erano impadroniti. Alcuni si erano fatti siglare il manifesto proprio da Vendola. In realtà l’area non esisteva più ma solo per chi aveva deciso di lasciare il partito. Proprio i molti firmatari dell’appello contro la scissione non hanno alcuna intenzione, come avevano chiaramente annunciato quando hanno sottoscritto l’appello stesso, di abbandonare l’area “ Rifondazione per la sinistra”. Non c’era più Vendola con i “vendoliani”, ma l’area continuava ad desistere dentro il partito continuando la battaglia intrapresa al congresso. In un comunicato fanno riferimento a “pseudo notizie” circolate in relazione allo scioglimento dell’area. Notizie che, tuttavia, “non corrispondono alla realtà”. “ L’area congressuale “Rifondazione per la Sinistra” – afferma un comunicato – non solo non si è affatto sciolta, ma continua ad esistere ed a portare avanti le sue ragioni e la sua prospettiva politica dentro il Prc.
“A tal fine – si legge ancora nella nota – ha deciso di promuovere un incontro nazionale che si terrà sabato prossimo 31 gennaio a Roma, presso la sede della Federazione romana del Prc di via Squarcialupo 58, e che vedrà la partecipazione dei membri del Cpn dell'area medesima e di almeno un rappresentante dell'area per ogni federazione provinciale che ha firmato la mozione in tutto il territorio nazionale.” Puntualizza Augusto Rocchi, membro della Direzione del Prc, uno dei coordinatori dell’area Rifondazione per la sinistra: “In riferimento a quanto dichiarato oggi con una nota dal Movimento per la Sinistra, uscito dal Prc in merito al fatto che sarebbe inopportuno, per chi resta nel Partito e continua la sua battaglia nell'area Rifondazione per la sinistra, chiamarsi in questo modo, onde evitare di ingenerare “equivoci”, mi pare evidente che chi resta nel Prc resta per continuare la battaglia congressuale cominciata dalla mozione "Rifondazione per la sinistra" al congresso nazionale di Chianciano e dunque a rappresentare quest'area congressuale.”
“Non si capisce perché – prosegue – dovremmo cambiare nome. La mozione "Rifondazione per la Sinistra" è di proprietà dei 20 mila iscritti al Prc che l'hanno votata, non certo di chi decide ora di andarsene dal Prc per lavorare a un'altra ipotesi politica, legittima e che rispettiamo, ma che resta diversa da quella di chi ha deciso di continuare la propria battaglia politica restando dentro il Prc. D’altronde così era stato concordato in un incontro preparatorio del seminario di Chianciano. Nessuna intenzione strumentale, dunque, da parte di chi vuole continuare a chiamarsi "Rifondazione per la sinistra" ma un semplice dato di fatto: con gli stessi ideali e obiettivi con i quali abbiamo fatto il congresso, continuiamo la nostra battaglia dentro il Prc”. Contr’ordine compagni, come si diceva una volta: quel manifesto non è più una reliquia da portare a casa e mettere in cornice, magari con l’autografo di Vendola che, della mozione congressuale, era stato il primo firmatario. Insomma, la storia continua.
Fonte: dazebao.it

Mini-Dossier. A Milano centri sociali nel mirino: il punto.

a cura di Mena Minichiello*
Il 22 gennaio la polizia è intervenuta senza mandato per sgomberare il csoa cox 18 (http://www.inventati.org/apm/), bloccando le strade circostanti ed impedendo l'accesso allo stabile che, fra le altre cose, ospita la libreria Calusca e l'archivio Primo Moroni (http://www.inventati.org/apm/), memoria storica della sinistra (non solo) milanese.
Data l'assenza di un mandato gli avvocati sono riusciti a bloccare tutto e ad avviare una negoziazione.
Attualmente prevedrebbe la "custodia" dei locali da parte del comune ma senza sgombero o sequestro finché non si pronuncia un giudice.
Conseguentemente al tentativo di sgombero si è tenuto un presidio di resistenti e solidali ed un corteo è arrivato fino a palazzo marino. (fonte: http://lombardia.indymedia.org/node/12752)

Conchetta, vecchio centro sociale occupato da vent´anni e abitato da anarcopunk dalle tempie grigie, è stato "espugnato" dalle forze dell´ordine.
Non c´era nessuno: solo i libri e i documenti del fondo Primo Moroni, qualche computer e dei barilotti di birra.
La «legalità», secondo il vicesindaco e parlamentare di AN Riccardo De Corato, è stata ripristinata.
L´operazione ha portato alla chiusura di uno dei centri di aggregazione più noti, più attivi e meno molesti di Milano.
Si cacciano, manu militari, da locali di proprietà del Comune - e per l´uso dei quali è fra l´altro in corso una causa civile - "temibili" occupanti abusivi che all´interno gestivano una preziosa libreria altrimenti destinata a non avere fruizione pubblica, la straordinaria raccolta di documenti e riviste sui movimenti e l´antagonismo sociale lasciata dal libraio Moroni.
Si mettono i sigilli ai poveri locali del Conchetta, unico presidio culturale sui Navigli colonizzati dalle disco-birrerie, in nome di una tolleranza zero che nessuno aveva invocato: non i residenti, ai quali dà molto più fastidio la sguaiatezza dei locali della zona, né la magistratura che si sta occupando della causa intentata dal demanio comunale.
Iniziativa grottesca ma soprattutto pericolosa, nella quale è impossibile non intravedere la volontà del vicesindaco di An e del Ministro degli Interni leghista Roberto Maroni. L´impressione è che in tempi di magra per il centrodestra cittadino - e in parte per il governo nazionale - si giochi a fabbricarsi i nemici in casa.
Dunque ecco l´ordine di far piazza pulita dei centri sociali occupati. Luoghi, decenni fa, frequentati da gruppi e collettivi "antagonisti" ; oggi, per la stragrande maggioranza, divenuti fra i pochi approdi serali frequentabili dai giovani per la birra a prezzi modici, i concerti a 5 euro, i dibattiti politici e culturali. Oggi tocca al Conchetta, e domani toccherà agli altri "fortini abusivi" che ancora punteggiano il territorio: Pergola, Torchiera, Vittoria, Cantiere e infine l´odiato Leoncavallo, il bersaglio grosso, la preda più ambita, vera e propria ossessione personale del vicesindaco.
E ci spieghino, De Corato e Moratti, come si può considerare civile una città che permette, in cambio di un "regolare" contratto d´affitto, l´apertura di un club nazista come il circolo Cuore Nero e che chiude con la forza pubblica un centro sociale attivo da vent´anni. Perché abusivo.

Per quello che vale....c'è anche questa petizione da firmare.
http://www.petitiononline.com/mod_perl/signed.cgi?cox1... le firme sono già a quota 8000.

Intanto, nel suo piccolo, si trova sotto sgombero a Torino la "Boccia squat".
(http://piemonte.indymedia.org/article/3968)
COMUNICATO STAMPA
Oggi abbiamo appreso dalla stampa che il sindaco Letizia Moratti avrebbe intenzione di occuparsi dei materiali dell'Archivio Primo Moroni e che vorrebbe addirittura spostarli in una non meglio identificata sede del Comune di Milano.
Se questa giunta avesse avuto minimamente a cuore l'Archivio Primo Moroni non avrebbe mandato ingenti forze di polizia e militarizzato un intero quartiere per sgomberare il centro sociale Cox 18, cercando di bloccarne la più che trentennale attività e impedendo la libera fruizione sociale dei materiali dell'Archivio e della Calusca City Lights.
Se a muoverla fosse stato qualcosa di diverso da una volontà di mostrare i muscoli la cui protervia è pari solo all'ignoranza e all'avidità già dimostrate in troppe altre occasioni, avrebbe invece rispettato la loro collocazione nel luogo in cui Primo aveva deciso dovessero stare.
Ribadiamo quindi che per noi familiari la sede naturale dell'Archivio Primo Moroni è il centro sociale di via Conchetta 18 e che se questa amministrazione s'illude di fare diversamente incontrerà la nostra più ferma opposizione.
Cox 18, l'Archivio Primo Moroni e Calusca City Lights sono affasciati e difesi da quella solidarietà attiva che si è espressa durante tutti questi giorni. Non si toccano.
Sabina, Maysa, Anna e Chiara, familiari di Primo Moroni
*Circolo "V. Lombardi" di San Sebastiano al Vesuvio (NA)

martedì 27 gennaio 2009

..::sinistracomunista*: una piccola presentazione::..

Sinistracomunista* è un'area politica del Partito della Rifondazione Comunista. Essa rappresenta la prosecuzione del percorso unitario che portò i 100 Circoli autoconvocati di Firenze e l'Area dell'Ernesto, insieme con altre componenti, alla presentazione del Terzo documento congressuale nel VII° Congresso nazionale del PRC.
Oggi, alla luce dell'esito positivo del Congresso di Chianciano e della conseguente 'svolta a sinistra' intrapresa da Rifondazione comunista, il criterio politico, al quale s'ispira l'intero progetto dell'area sinistracomunista*, è di cementare la maggioranza scaturita dal Congresso di Chianciano nella prospettiva dell'unità dei comunisti. Il nostro obiettivo è la difesa, la ricostruzione e il rilancio dell'iniziativa politica del Partito della Rifondazione comunista a partire dai circoli, dalla militanza, dai singoli Compagni che sentono la necessità di ricreare una opposizione di sinistra in Italia, ma a partire dalla costruzione di un grande Partito comunista di massa. Un Partito che sappia fornire una risposta politica alla crisi del capitalismo contemporaneo a partire dal conflitto tra capitale e lavoro, delineando così un modello di società basato su giustizia e solidarietà sociale.
Si potrebbe obiettare che la costituzione di una nuova area, in una fase in cui i comunisti sono fuori dal Parlamento e Rifondazione comunista attraversa la sua peggiore crisi politica, possa essere completamente inutile. Non è così, perché la nostra area si pone l'obiettivo di dare idee e gambe alla "svolta a sinistra" di Chianciano e di colmare i limiti sedimentati nel tempo dalle altre aree politiche, che lavorano per la costruzione della propria tendenza, anziché per il progetto della Rifondazione di un Partito comunista di massa. La sinistracomunista* in questo senso lavora per il superamento di tutte le aree interne sulla base del centralismo democratico.
La relazione tra il nostro progetto ed il lavoro quotidiano è promuovere l'unità d'azione tra tutte le componenti che sostengono la "svolta a sinistra", ma senza sacrificare la nostra autonomia come componente organizzata. Ci rivolgiamo a tutti, anche a quei Compagni della II mozione che non si riconoscono nell'idea di fuoriuscire dal Partito e fondare presunte "liste di sinistra" alle prossime elezioni amministrative, dando vita ad una nuova micro-frazione a sinistra del Partito Democratico. Allo stesso tempo "unità" non è uno slogan, ma un obiettivo raggiungibile solo sulla base di progetti condivisi.
La sinistracomunista* vuole dare un contributo al dibattito del nostro Partito e per fare questo gestisce, al livello nazionale, una rivista online: sinistracomunista* che vi invitiamo a visitare. Il sito è quotidianamente aggiornato. Vi segnaliamo, in particolare, questo articolo di Gianluigi Pegolo e Sandro Targetti nel quale si illustrano bene le finalità della rivista e dell'area: "Sinistra comunista: un nuovo quotidiano per una nuova area politica".
In ultimo, questo blog è espressione del Coordinamento provinciale della sinistracomunista* di Napoli e vuole essere un luogo d'incontro e di confronto, uno spazio di divulgazione, ma anche un luogo partecipato, uno strumento per tutti quei Compagni e semplici cittadini, che si riconoscono nel nostro percorso, o che vogliono semplicemente conoscerlo, criticarlo, confrontarvisi. Questo strumento vuole portare nella città di Napoli e nella provincia i temi nazionali e internazionali, ma anche far conoscere i temi riguardanti la città di Napoli e la sua provincia, ed anche, perchè no, l'intera Regione Campania.
http://www.sinistracomunistanapoli.blogspot.com/ attende, dunque, il contributo di quanti intendano partecipare.

lunedì 26 gennaio 2009

Bonus sed Malus...ovvero social card, bonus ed altre storie, le torte senza lievito del Governo Berlusconi.

Con l'avvicinarsi del Natale 2008, il Governo Berlusconi ha pensato (addirittura pensato!) di far dono ai pensionati e alle famiglie con figli minori di anni tre, della cosiddetta social card, naturalmente il requisito del reddito bassissimo era una delle condizioni oltre ai 65 anni di età minima per i pensionati.
Sono state inviate migliaia di domande da compilare da parte dell'Inps ai pensionati che ne avevano diritto, altre migliaia ritirate presso gli sportelli postali, code infinite per avere il modello ISEE dai CAF, code infinite alla posta per consegnare la domanda.
Pensate ai poveri pensionati in piedi per ore, e alla fine....PLUFF!...la torta della social card era stata privata del lievito infatti, molte card non sono state abilitate ed il povero pensionato o la famiglia più indigente si è ritrovata a pagare la spesa effettuata (tra l'altro presso negozi abilitati dal Governo - spendere per consumare, indi arricchire le imprese) perché la card non era riconosciuta o non era abilitata. Beffa su beffa!!!!!! In questi giorni stanno arrivando da parte dell'Inps le respinte della social card poiché per attivarle si teneva conto da parte dello Stato del modello CUD dell'utente e dell'ISEE solo se non superava un CUD di una cifra che ne legittimava l'emissione. Tutto ciò è uscito fuori solo ora dopo le file congestionanti e congestionate, ai CAF, alle Poste, all'Inps.
Per il bonus è un'altra corsa alla compilazione!

Si terrà conto del CUD, dei disabili in famiglia... in un primo tempo sembrava che bastasse avere un invalido per avere il bonus al di là della situazione reddituale, poi si è precisato che solo per il figlio invalido vale questa clausola; ed ogni giorno versioni che cambiano, si gonfiano e si sgonfiano.
Tutta questa confusione, tipica del Governo di Berlusconi, sfocerà in migliaia di rifiuti per bonus compilati male o spediti all'ente sbagliato.

Non si è arrivati ancora ad una convenzione per i CAF, quindi immaginate le file all'INPS da parte dei pensionati e dei patronati per consegnare i modelli.
Di questa situazione poco o niente se ne parla all'interno dei telegiornali o sui giornali stessi.

Questa è la vera MONNEZZA!!!!
Prendere ancora una volta in giro i ceti più deboli e bisognosi, quegli stessi ceti a cui si è regalato nel periodo elettorale la busta con gli alimenti e, non aggiungo altro poiché ben conosciamo le realtà dove viviamo.

Riprendiamo il dialogo con le persone che da sempre ci hanno visto in prima fila nelle battaglie contro l'ingiustizia .
MORALE ED ETICA CI HANNO SEMPRE CONTRADDISTINTO .
MORALE ED ETICA.


di Cinzia Muro, comunista - Circolo PRC "Carlo Giuliani" di Salerno

domenica 25 gennaio 2009

Sondaggio sull’eutanasia: gli italiani chiedono che la Chiesa non interferisca

Un sondaggio realizzato da Demos, condotto su un campione di 1.300 persone, mostra come gli italiani non gradiscano i continui interventi delle gerarchie ecclasiastiche sui temi bioetici. L’83,2% del campione ritiene infatti che, in materia di eutanasia e di vita o di morte, la Chiesa debba “rivolgersi alle coscienze di ognuno e non influenzare le decisioni dello Stato”: solo il 12,4% sostiene che invece debba “intervenire e cercare di influenzare le decisioni dello Stato”. Il 51,5% si è inoltre dichiarato sempre o quasi sempre favorevole all’eutanasia, il 79,4% al testamento biologico. I contrari all’eutanasia sono in maggioranza soltanto tra gli elettori astenuti, tra gli elettori dell’UDC, tra i praticanti “assidui” dei riti religiosi e tra coloro che hanno un basso livello d’istruzione. La maggioranza del campione, infine, ha dichiarato che, qualora si trovasse nelle condizioni di Eluana Englaro, preferirebbe essere lasciata morire: solo il 19% ha risposto che vorrebbe essere tenuto comunque in vita.
Fonte: uaar.it

Accordo annunciato, ma non meno grave. Ora la parola passi ai lavoratori.

di Roberta Fantozzi*


L'accordo separato firmato da governo, Confindustria, Cisl, Uil, Ugl, non è un evento inaspettato preceduto come è stato dalla lunga serie di accordi separati di categoria. Tanto meno lo è dopo l'offensiva lanciata nei giorni scorsi da Confindustria, Cisl e Uil, e le dichiarazioni di Walter Veltroni. Ma è fortissimo il senso dello strappo, per l'accelerazione che si è prodotta, come per la gravità estrema di quanto è accaduto.Berlusconi cerca di realizzare nuovamente l'obiettivo che segnò il suo governo nel 2002, quando con il Patto per l'Italia puntò ad isolare e marginalizzare la Cgil. Lo vuol fare, oggi come ieri, per realizzare un disegno "costituente" che mira a determinare in senso fortemente regressivo non solo la condizione materiale del mondo del lavoro, ma natura e ruolo dei soggetti sociali e dunque lo statuto della democrazia nel nostro paese. Un disegno persino esibito dalla coincidenza temporale della firma dell'accordo e del primo via libera dato dal parlamento al federalismo. Entrambe scelte "costituenti" che puntano a dividere e frammentare, mettere in contrapposizione i territori come i lavoratori, distruggere i residui elementi universalistici e solidaristici del nostro modello sociale. Entrambe scelte che hanno registrato l'assenza grave dell'opposizione parlamentare.
L'accordo firmato riprende, solo sintetizzandolo, il documento di Confindustria che aveva già visto convergere Cisl e Uil. Il contratto nazionale di lavoro viene svuotato di ogni ruolo: non serve a redistribuire la produttività, non serve nemmeno a difendere salari e stipendi dall'inflazione reale. E' viceversa lo strumento della generalizzata e ulteriore riduzione dei salari, legati ad un'indice dell'inflazione "depurato" dall'aumento dei costi dell'energia importata. La contrattazione aziendale, che riguarda meno del venti per cento delle imprese, consente aumenti salariali solo in relazione alla "produttività" e "redditività" delle imprese, all'aumento dello sfruttamento e della fatica del lavoro, ad ulteriori sgravi fiscali e contributivi per le imprese, che si esige diventino "strutturali, certi, facilmente accessibili". Il contratto nazionale potrà essere derogato solo in peggio, mentre nulle sono le garanzie per la stragrande maggioranza dei lavoratori che non accedono alla contrattazione di secondo livello. Si rimanda ad altra sede la definizione delle "modalità per garantire la tregua sindacale", ma la sostanza resta quella di sanzionare e limitare pesantemente il diritto di sciopero. Viene reiterata la previsione di "ulteriori forme di bilateralità per il funzionamento dei servizi integrativi di Welfare", nodo centrale anche del Libro Verde del ministro Sacconi.Il sindacato non è più, secondo l'accordo, il rappresentante autonomo degli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori, organizzazione di conflitto e contrattazione. E' insieme alle imprese il gestore di servizi, di uno stato sociale che vede ritrarsi ruolo e garanzie pubbliche e viene consegnato a logiche privatistiche, a quegli enti bilaterali in cui si sostanzia il ridisegno neocorporativo dell'insieme delle relazioni sociali. Non è un caso che il governo abbia varato in agosto un taglio micidiale delle risorse per sanità, enti locali, istruzione, lavoro pubblico.L'accordo separato è destinato ad aggravare la situazione economica e sociale complessiva, perché impoverisce ancora di più i lavoratori, in una crisi che è determinata esattamente dall'acuirsi delle disuguaglianze, da quel "mondo di bassi salari" prodotto da un trentennio di politiche neoliberiste.La partita non è tuttavia chiusa. Non lo è come non lo fu nel 2002, sebbene sia evidente il quadro peggiore di oggi rispetto a ieri, per la sconfitta della sinistra, per la collocazione del Pd. Non lo è in virtù della tenuta decisiva che la Cgil ha avuto. Non lo è in virtù della disponibilità alla lotta che le lavoratrici e i lavoratori hanno dimostrato, aderendo il 12 dicembre allo sciopero generale della Cgil e dei sindacati di base. Diventa decisiva l'attivazione di una risposta forte nei luoghi di lavoro e nei territori. Una risposta adeguata alla gravità di quanto avvenuto, alla volontà di riscrivere le relazioni sindacali e i rapporti sociali contro la più grande organizzazione delle lavoratrici e dei lavoratori, impoverire e dividere ulteriormente il mondo del lavoro, distruggere ruolo e autonomia del sindacato. Crediamo sia necessaria la costruzione di un nuovo sciopero generale. Crediamo sia obbligatorio il pronunciamento delle lavoratrici e dei lavoratori sull'accordo. Per parte nostra ci saremo. E' in gioco il futuro dei diritti del lavoro e della democrazia.


*Membro della Segreteria Nazionale - Responsabile Lavoro del PRC

Appello

Per la rifondazione comunista
No alla scissione!

La drammaticità della crisi economica e la crudeltà della guerra dimostrano ancora una volta l'incapacità del capitalismo di dare un futuro all'umanità e confermano la necessità del comunismo come movimento reale che trasformi lo stato di cose presenti. Un partito comunista rifondato che ricostruisca il suo radicamento sociale, che rilanci la sua funzione di critica puntuale e di alternativa alle politiche liberiste, all'organizzazione capitalistica della società, è quanto mai attuale! Rifondazione Comunista, nonostante le sconfitte e gli errori di questi anni, può e deve svolgere, nel vivo dell'opposizione alle destre, un ruolo indispensabile per riaggregare un ampio movimento per l'alternativa, capace di parlare a milioni di persone oggi colpite dalla crisi e nei diritti basilari. Ogni qual volta il nostro partito svolta a sinistra e respinge le sirene dell'omologazione, partono puntuali le accuse di residualità e di settarismo, le campagne mediatiche per isolarci, preparare nuove rotture e cancellare una presenza comunista nel nostro paese. Con questo appello lanciato da circoli e militanti di base, invitiamo tutti i compagni e le compagne a respingere l'ipotesi di una nuova scissione, che - in nome "dell'unità a sinistra"- produrrebbe solo ulteriore divisione ed a verificare insieme, nel vivo dell'iniziativa sociale, la linea politica scaturita dall'ultimo Congresso Nazionale, attivando così una positiva dialettica tra tutte le posizioni che si confrontano nel partito. Vogliamo far sentire la nostra voce e rilanciare, anche con questo appello, il ruolo centrale dei Circoli. Rinnoviamo per questo l'invito ad iscriversi al Prc ed a riprendere con tenacia il percorso della Rifondazione Comunista!
(appello assunto dall'Attivo Cittadino di Firenze e sostenuto dalla Segreteria provinciale tenutosi alla SMS Rifredi il 13 gennaio 09).

Invitiamo i circoli a far circolare e sottoscrivere questo appello, a prendere posizione! Inviare adesioni al: noscissione.prc@gmail.com
Prime adesioni: circolo "Gramsci" di Rifredi; circolo Lavoratori Fs "Lavagnini"; circolo "Gramsci" di Campi Bisenzio; circolo Coverciano "Terracini"; circolo lavoratori Telecom; circolo di Novoli; circolo Fi Est "Gracci"; circolo Fi Lippi Ponte di Mezzo; circolo Greve in Chianti; circolo Fi 3 "Falsini"; circolo Fi 1 Centro storico; circoli di Scandicci; circolo aziendale Università; circolo Quartiere 4

sabato 24 gennaio 2009

Per una svolta a sinistra tra i giovani comunisti

di Daniele Maffione*
L’ultima riunione del Coordinamento nazionale dei Giovani Comunisti si è tenuta il 28 settembre 2008: un’eternità in termini politici. Ancor di più se si calcola la quantità di eventi e mobilitazioni che sono succeduti finora. Senza proporre un elenco, ci si può soffermare sulle mobilitazioni studentesche e lo sciopero generale del 12 dicembre scorso, che hanno contraddistinto il quadro di conflitto degli ultimi mesi. Non ultima, le mobilitazioni in sostegno del conflitto greco e della causa palestinese, che richiederebbero la ripresa di un urgente impegno internazionalista da parte della nostra organizzazione.

Rispetto a queste mobilitazioni i Giovani Comunisti hanno scelto, parliamo dei massimi organismi dirigenti dell’Esecutivo nazionale, di non figurare come organizzazione politica, fornendo strumenti analitici e logistici ai propri militanti. Eppure, si contano a decine i militanti della nostra organizzazione che si sono impegnati attivamente nelle mobilitazioni, fornendo un contributo d’esperienza alla lotta, partecipando alla costruzione del movimento studentesco e delle varie agitazioni. Ma neppure il più attivo dei nostri militanti può dire di aver dato un reale contributo politico alla lotta, per una semplice ragione: perché i dirigenti dell’Esecutivo nazionale hanno scientemente predicato di non far funzionare i Giovani Comunisti. Le uniche due iniziative, se tali le si può definire, sono l’elaborazione della Onda card, una tesserina di plastica che avrebbe dovuto “generalizzare il conflitto” (non si sa con quali contenuti), e la proposta di tessera G.C. per il 2009, sulla quale da un lato è visibile un’assemblea del movimento studentesco dei mesi scorsi, di cui è illeggittimo dirsi continuatori, mentre dall’altro lato è posto il Muro di Berlino, eretto a simbolo di anti-comunismo da parte di tutte le organizzazioni di destra e neo-fasciste d’Europa.
Il punto principale adesso non è riaprire una polemica su queste due iniziative, di cui con poca lungimiranza non si è calcolato l’impatto sul corpo militante e su quei soggetti sociali verso i quali dovremmo rivolgere la nostra iniziativa. Il punto è comprendere a cosa sono serviti finora i Giovani Comunisti e la loro tanto decantata “autonomia”, focalizzando i punti dai quali proporre un progetto nuovo ed alternativo per la ricostruzione dell’organizzazione giovanile di Rifondazione comunista.


Stato dei Giovani Comunisti
Partiamo per gradi. A cosa sono serviti finora i Giovani Comunisti? Calcolando la proporzione tra innovazioni enunciate (disobbedienza, non violenza, scioglimento nei movimenti, liquidazione organizzativa, totale abbandono del terreno della lotta e del radicamento politico, privilegio delle azioni mediatiche, incontro con le organizzazioni moderate, costruzione del soggetto di sinistra e superamento del Partito) ed attività politica sviluppata, possiamo avanzare una prima ipotesi: i Giovani Comunisti non sono un’organizzazione che serve a costruire conflitto, bensì un pezzo dell’apparato di Partito, utilizzato scientemente per orchestrare consenso intorno a posizioni moderate e politiciste. Un caso a parte è l’impegno di tanti giovani compagni illusi da un falso piano di lavoro, di cui va riconosciuto l’impegno, che in queste ore stanno comprendendo quanto fossero strumentali certe posizioni.
Dimostrare ciò che dico è semplice, poiché tante prese di posizione assunte nel dibattito interno al Partito, negli ultimi difficili mesi, sono state prese senza consultare il Coordinamento nazionale, all’interno del quale non esistono soltanto la II mozione, bensì tutte le aree del Partito, che attualmente esprimono democraticamente la maggioranza che compone e sorregge la segreteria nazionale di Rifondazione comunista. Un esempio concreto sono le ultime dichiarazioni a firma dell’Esecutivo nazionale, acquisite tramite le pagine di Liberazione, in cui, in risposta alle dichiarazioni di Franco Giordano sull’imminente scissione, si sostiene che i Giovani comunisti da mesi non condividono “il percorso di costruzione del nuovo soggetto di sinistra”. Verrebbe subito da replicare: chi, tra i Giovani Comunisti, continua a condividere il percorso di costruzione del nuovo soggetto di sinistra? Allo stato attuale, valutando i margini di una tale operazione politica in Italia e gli effetti che produrrebbe circa l’ulteriore consolidamento delle destre in questo paese, sarei portato a dire proprio nessuno.
Qui, però, il punto non è tanto il metodo, bensì il merito della questione: l’Esecutivo nazionale dei Giovani Comunisti, con le posizioni assunte nel dibattito interno, ha dimostrato d’essere una componente organica della minoranza del Partito, legata ad un progetto revisionista e moderato, che è superato prima ancora di cominciare. La tanto decantata “autonomia” che vorrebbe portare avanti questo gruppo d’irresponsabili, è di continuare a gestire l’organizzazione come un megafono di tesi liquidatorie e disfattiste, tese a disincentivare il conflitto ed eliminarne i presupposti più avanzati, come il partito comunista.
L’autonomia dovrebbe essere costruita, ma non a partire dall’intero progetto della Rifondazione comunista, bensì rispetto all’originalità con cui i Giovani Comunisti dovrebbero concretizzarla circa le giovani generazioni.

Un nuovo progetto politico
E’ del tutto evidente, in questo quadro politico e sociale, che non può bastare la convocazione di una riunione del Coordinamento nazionale ogni cinque o sei mesi per dirimere i nostri problemi. L’egemonia culturale e politica che le destre esercitano nella società, governando le crisi prodotte dal capitalismo, in uno scenario in cui il nostro Partito è fuori dal Parlamento, indicano compiti assai diversi ai Giovani Comunisti rispetto al passato.
Anzitutto, sarebbe utile abbandonare definitivamente la rappresentazione farsesca della politica, fatta tramite slogan privi di contenuto ed a suon di proclami mediatici. Allo stato attuale, sarebbe opportuno recuperare il piano dell’attività politica tra i giovani, i loro luoghi di studio e di lavoro, analizzando le loro forme di emarginazione, alienamento ed aggregazione.
Poi, sarebbe necessario mettere a fuoco tutti i limiti strutturali della nostra organizzazione, che esce devastata dopo anni di “innovazioni”, che non hanno prodotto altro che una torsione degli spazi democratici ed uno scollamento totale tra il gruppo dirigente centrale, i gruppi dirigenti periferici e la base. Si contano sulle dita di una mano, ad esempio, le Conferenze regionali tenutesi dopo la Conferenza nazionale del 2006; regioni con migliaia d’iscritti, come la Campania e la Sicilia, non hanno rieletto un coordinamento regionale con organismi dirigenti locali.
Inoltre, un altro dato andrebbe monitorato: il tesseramento. Così com’è concepito ora, il tesseramento è stato utilizzato come grimaldello nelle contese congressuali, che serviva a sostenere un gruppo dirigente e la sua proposta politica. Quanti reclami sono stati presentati nella sola conferenza provinciale di Napoli, dove i Giovani Comunisti hanno il loro maggior numero d’iscritti in Italia, durante la scorsa Conferenza? Dalla sera alla mattina sbucavano fuori decine di tessere e di voti a sostegno del documento di maggioranza, quello “bertinottiano”. Una proposta aperta ai compagni della II mozione
Con franchezza, credo che le percentuali bulgare ed anche quel 47% di cui si appropriano indebitamente Giordano, Vendola e Migliore, che finalmente hanno calato la maschera e rivelato le proprie ambizioni liquidatorie e scissioniste, fanno poco onore ai tanti compagni della II mozione che pure hanno costruito nei propri territori il Partito, magari portando pochi voti, ma costruendo con onestà la propria proposta politica. Una nuova Conferenza nazionale costruita con slogan avvelenati ed un tesseramento drogato, in cui la spunta sempre il più furbo, quello con più “cammelli”, affosserebbe definitivamente i Giovani Comunisti.
La mia proposta è di tentare di costruire un comitato provvisorio nazionale, che si riconosca nel percorso di costruzione del Partito e nella linea sancita a maggioranza dal Congresso di Chianciano, che traghetti i Giovani Comunisti verso un rilancio della propria attività militante ed una nuova Conferenza nazionale, convocata su presupposti politici nuovi e non sulla semplice e dannosa “conta” sulle tessere. In questo percorso, che dev’essere aperto a tutte le aree della nostra organizzazione, compreso quei compagni della II mozione che avversano la scissione, potranno essere posti i punti cardine della ripresa della nostra iniziativa politica nella società, su basi il più possibile unitarie e di sinistra.
Quanto al piano della proposta politica, i Giovani Comunisti devono trovare una piattaforma ampia e condivisa dalla quale ripartire. Infatti, è mia opinione ritenere un errore la critica totale ai movimenti, che pure è stata mossa negli anni da singoli e da componenti di questo Partito: i movimenti sociali nascono e si affermano come un elemento di contraddizione rispetto alla società capitalista; come tale, ognuno di essi è un potenziale bacino di dissenso rispetto al sistema capitalista. Non tutti i movimenti, però possono rispondere a questo obiettivo, infatti la politica interviene proprio per analizzarne le origini, la composizione e gli obiettivi. Per questo, i Giovani Comunisti non possono commettere sempre lo stesso errore, ritenendo il movimento, in quanto tale, un elemento positivo, perché ogni agitazione presenta delle sue caratteristiche, che vanno comprese se si vuole adeguatamente intervenire e spostarne più avanti i contenuti.
In altri termini, i Giovani Comunisti devono apprendere dai movimenti le rivendicazioni e la capacità di mobilitazione, ma educarli alla lotta suprema, quella contro il capitalismo.
Porsi, come hanno fatto sin qui i dirigenti nazionali dei G.C., vuol dire rinunciare a qualsiasi forma d’intervento nelle mobilitazioni, abbandonarsi allo spontaneismo che elimina qualsiasi presupposto di lotta per l’egemonia politica e culturale. Utilizzare, in questi termini, i “movimenti” per legittimare le proprie posizioni nel dibattito interno, è ormai divenuto un esercizio tanto inutile, quanto sterile, poiché non comporta alcun cambiamento nella realtà (vedi il caso del movimento studentesco dell’Onda).


Per una svolta a sinistra tra i G.C.
Infine, è opportuno comprendere che anche chi si vuole adoperare per superare questo tipo d’impostazione della politica deve compiere dei passi in avanti. La maggioranza scaturita democraticamente dal VII Congresso del Partito a Chianciano, ha sostenuto la necessità di dotarsi di un documento politico. Questo documento va necessariamente ripreso e sviluppato, tenendo in considerazione i problemi legati al fare politica tra i giovani al giorno d’oggi, abbandonati a se stessi dalle organizzazioni di massa della sinistra e lasciati nelle braccia del capitale, che li bombarda con il consumismo e l’egoismo.
E’giunto il momento di costruire la maggioranza di Chianciano anche tra i Giovani Comunisti, poiché è impensabile continuare ad avere tante aree e gruppi divisi che fronteggiano la II mozione, sul cui ruolo bisogna diffidare fin quando conserva il saldo controllo dell’organizzazione giovanile. Anzitutto, bisogna constatare che l’unica iniziativa presa in tal senso, e neppure senza tutti i presupposti d’unità scaturiti a Chianciano, è stata la stesura dell’appello sulla tessera G.C. del 2009, che non è stato adeguatamente preparato da una riunione ed un percorso politico, quanto piuttosto affidato all’iniziativa dei singoli. Pensare di strutturare un cammino del genere, dove ognuno corre per conto proprio, è impensabile, poiché replicherebbe le storture e le deformazioni del protagonismo individuale che fin qui hanno contraddistinto i dirigenti dei G.C.. Invece, sarebbe opportuno approntare una riunione nazionale preliminare dei membri del Coordinamento nazionale, con una successivo attivo nazionale dei giovani compagni che si riconoscono nella svolta a sinistra di Chianciano.
Questo percorso è già operativo, come sempre accade, dal basso, cioè in alcune federazioni dislocate dal Nord al Sud Italia, che si prodigano per uno sforzo unitario sia per respingere le posizioni liquidatorie di alcuni membri dell’Esecutivo nazionale, sia per rilanciare l’organizzazione giovanile nelle battaglie sociali. Alcuni esempi sono le federazioni di La Spezia, dove il coordinamento provinciale ha assunto l’iniziativa circa la campagna di tesseramento votando un ordine del giorno unitario; Napoli, dove da due mesi si è costituito il coordinamento dei Giovani per la Rifondazione Comunista (G.R.C.), che ha preparato la partecipazione allo sciopero generale del 12 dicembre, e Catania, dove ci si appresta a discutere dell’imminente contestazione al G8.
Ma è sul piano nazionale che bisogna strutturare questo percorso unitario, a partire dalle questioni politiche. Bisogna richiedere la convocazione di un Coordinamento nazionale ed effettuare una mappatura generale dell’organizzazione, verificando nell’Esecutivo e nei territori chi ha seguito la scissione del gruppo Giordano-Vendola-Migliore. Una volta fatto questo, bisogna richiedere le dimissioni immediate dell’Esecutivo nazionale, che non pone più le garanzie di affidabilità politica, e costruire un comitato transitorio, composto da tutte le componenti (anche i compagni della II mozione) che hanno intenzione di proseguire il cammino della Rifondazione comunista. Successivamente, bisognerà discutere i tempi per la convocazione di un nuova Conferenza nazionale, comprendendo come articolare il rilancio dei Giovani Comunisti.
Pur nelle diversità, l’unità è l’unica strada che le componenti di Chianciano possono percorre per ricostruire l’organizzazione giovanile su tutto il suolo nazionale e prepararla ad una lunga battaglia di posizione nella società, che rischia di scivolare, tra profitti, malaffare e rigurgiti neofascisti, sempre più a destra. Eventuali fughe in avanti, o frazionismi, rischiano di riconsegnare il patrimonio politico ed umano di questa organizzazione nelle mani di un gruppo di burocrati, legati a posizioni moderate, che la lotta di classe non può più tollerare.
Fonte: sinistracomunista.it


* Coordinamento Nazionale Giovani Comunisti, Area Sinistra Comunista