mercoledì 28 gennaio 2009

Il Partito democratico sul federalismo, una soddisfazione del tutto fuori luogo


di Gianluigi Pegolo*


La soddisfazione (seppure temperata da alcuni rilievi critici) espressa dal Pd per l'approvazione al Senato del disegno di legge sul federalismo fiscale è del tutto fuori luogo. Peraltro, le dichiarazioni entusiaste espresse dalla Lega dopo il voto avrebbero dovuto indurre gli esponenti del Pd a porre maggiore cautela, ma è del tutto evidente che nel voto di astensione dato al provvedimento ha pesato moltissimo la volontà di costruire un ponte col governo - e in primis con la Lega - e molto l'incapacità di avanzare una proposta alternativa, una volta che il federalismo è diventata la bandiera di una parte cospicua degli amministratori locali di quel partito.

Veltroni ha anche adombrato la possibilità di mutare atteggiamento (votando contro alla Camera) se non verranno date risposte convincenti in merito ai riflessi finanziari del provvedimento o se non si darà il via alla riforma del Senato federale e alla riduzione del numero dei parlamentari, ma in realtà queste dichiarazioni non fanno che rafforzare ancora di più l'impressione generale e cioè che il Pd ha fatto un'operazione tatticista, nel tentativo di rientrare in gioco per condizionare la politica del governo su altri temi.

Questa impostazione - peraltro sostanzialmente condivisa dall'Idv - è perdente, oltre che pericolosa. Le modifiche ottenute dal Pd limitano gli effetti imprevedibili del provvedimenti, ma non ne modificano la logica complessiva che resta quella - per l'appunto tipica del federalismo - del trattenimento in loco delle risorse fiscali, principio che inevitabilmente apre la strada alla differenziazione territoriale dell'offerta dei servizi e della gestione della spesa e quindi delle condizioni sociali. Solo un inguaribile approccio tecnicistico può far pensare che la deterrenza alla disarticolazione territoriale dei diritti possa venire dall'introduzione di fondi perequativi o dalla definizione dei costi standard. Una volta assunta quell'impostazione le spinte alla differenziazione diventeranno fortissime.

Peraltro, conviene riflettere su alcuni limiti evidenti che già ora presenta il provvedimento. In primo luogo, si tratta di un provvedimento di delega al governo; come tale (anche in presenza di una commissione parlamentare per l'esame dei decreti attuativi) tutte le scelte chiave saranno in larga misura accentrate. In secondo luogo, è del tutto sconosciuta la dimensione economico-finanziaria dell'operazione federalista. Tremonti non ha detto una parola a tale proposito e ben si capisce che senza questa specificazione il provvedimento può dar luogo ad effetti del tutto diversi, a maggior ragione se consideriamo gli impatti imprevedibili della crisi.

Ma al di là di questi rilievi, peraltro giustamente denunciati oltre che dall'Udc che ha votato contro, anche da esponenti dello stesso Pd, restano in ballo questioni fondamentali. Si pensi alla struttura impositiva. I vari livelli istituzionali disporranno di tributi propri ma il grado di autonomia nella loro gestione è ancora vago. Non solo, il meccanismo prevede come mezzo per il riequilibrio territoriale nella distribuzione di risorse l'utilizzo di un apposito fondo perequativo, che però dipenderà in ultima analisi - è ragionevole sostenerlo - dalla pressione congiunta dell'insieme dei territori, ivi compresi quelli meno interessati a potenziarne l'utilizzo, senza contare l'indeterminatezza del suo funzionamento nel caso di province e comuni. A sua volta, il calcolo dei costi standard dei servizi essenziali, si scontra con la diversità dell'offerta qualitativa sui territori, oltre che con la diversa incidenza della spesa storica. Da un simile guazzabuglio cosa ne può derivare?

Fra l'altro, può prodursi un'insufficiente distribuzione di risorse per le aree più deboli, con la crescita dei differenziali di sviluppo regionali; ma può al tempo stesso determinarsi la moltiplicazione dei canali di prelievo con l'aumento globale della pressione fiscale. Molto dipenderà dagli orientamenti del governo, che peraltro non sono tranquillizzanti. Quel che è certo è che il meccanismo in sé non evita questi rischi e che anzi tende a sollecitarli. Il motivo è semplice: la gestione su base territoriale delle risorse mette a rischio l'universalità dei diritti, mentre - nel contempo - non dà certezza sulla tanto auspicata ottimizzazione della spesa.


*Membro della Segreteria nazionale del PRC

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