lunedì 16 febbraio 2009

Congo, patto con il Ruanda per stroncare i ribelli. Ma a pagare con il sangue sono soltanto i civili

di Francesca Marretta

Africani, carne da macello, che non buca il video e che resta ignorata nelle prime pagine dei giornali. Non parliamo degli immigrati soffocati nei container mentre sognano l'Europa. Ma di quelli uccisi a centinaia nella propria madre terra. In quell'Africa sub-sahariana ancestrale, verde, rossa e gialla, che più è baciata dalla natura, con ricchezze e risorse, più inghiotte avidamente i propri figli. La guerra nella Repubblica Democratica del Congo (Rdc), ricordata negli annali come la prima guerra mondiale africana, è stata l'emblema di una storia che, in forme diverse, ancora oggi si ripete. Tra il 20 gennaio e l'8 febbraio 2009, denuncia l'Organizzazione internazionale per i diritti umani con base a New York, Human Rights Watch (Hrw), almeno cento civili congolesi sono stati letteralmente "massacrati" dai ribelli ruandesi di etnia hutu delle Fdlr (Forze democratiche di liberazione del Ruanda), come rappresaglia per l'operazione militare congiunta degli eserciti di Kinshasa e Kigali in Kivu, nell'est del paese.
I fuorisuciti hutu ruandesi sono rifugiati nell'ex Zaire dal 1994, dove arrivarono grazie a un corridoio aperto, secondo le accuse dell'attuale regime di Kigali guidato da Paul Kagame, dai soldati francesi presenti nella zona, subito dopo il genocidio. Hrw, sottolinea che «le recenti stragi hanno raggiunto proporzioni spaventose». I civili sono stati usati come scudi umani, e molti sono stati uccisi a bastonate o fatti a pezzi col panga (un coltello curvo e piatto che si usa nelle campagne africane). Hrw ha riferito inoltre di numerosi stupri di donne commessi sia Fdlr, che dai soldati regolari ruandesi dall'inizio delle operazioni. Anche questo un déjà vu della guerra nella Rdc, come negli altri conflitti africani che hanno insanguinato e insanguinano la Regione dei Grandi Laghi. Quando si parla di stupri di donne, anziane come bambine, in questa parte dell'Africa non esiste differenza tra uniformi regolari e bandane da ribelli. Si tratta di un fenomeno endemico, alimentato da credenze locali. Struprare una donna anziana o una bambina ti salverà dall'Aids, dice il santone del villaggio di turno. E il virus, come la guerra, si allarga come olio che galleggia su questa terra, rossa come il sangue che assorbe. Venerdi, almeno 40 ribelli hutu ruandesi sono stati uccisi in un raid aereo in Kivu. Una operazione congiunta Kigali-Kinshasa. Ex nemici giurati fino a pochi mesi fa. Il regime di Kagme in Ruanda, accusava il governo congolese di Kabila non fare nulla per sgominare quegli hutu ex genocidari che si mescolano ai congolesi della zona e minacciano l'incolumità della popolazione Banjamulengue, i tutsi congolesi. Per questo Kigali, nel conflitto civile recentemente riesploso in Rdc, aveva armato e sostenuto il ribelle tutsi Laurent Nkunda. Nkunda ha tenuto testa alle truppe governative del gigante dei Grandi Laghi nel conflitto. Ma senza armi e soldi da Kigali, a loro volta pagate con i proventi delle richezze sottratte dal Ruanda in Kivu negli ultimi quindici anni, sarebbe durato ben poco. E così è stato. Nel momento in cui i governi di Ruanda ed Rdc hanno raggiunto un accordo per intervenire sulle bande di ribelli che destabilizzano il Nord Kivu, zona ricchissima di materie prime e preziose nell'est Congo, al confine, con Uganda e Ruanda, Nkunda è stato catturato e tolto di scena. E pensare che si tratta di un fedele alleato dell'attuale presidente ruandese, con cui negli anni '90 ha combattuto per liberare il Ruanda dal regime Hutu responsabile del genocidio. Anche allora, come oggi, Kagame, suggerisce ampia letteratura in materia, spendeva dollari americani. Nel senso che arrivavano dagli Usa. Il fatto che, dopo due guerre che li ha visti contrapposti Ruanda ed Rdc si siano finalmente messi d'accordo per mettere in riga il coacervo di milizie che hanno usato fino a ieri nel Kivu per farsi una guerra per procura, non ha sorpreso molti osservatori che conoscono i conflitti africani. E' evidente che sia stato raggiunto un accordo per spartirsi la torta in una delle zone più ricche di un paese, che fin dai tempi di Leopoldo II del Belgio era noto in Europa come "uno scandalo geologico", tanto abbondava di risorse. Dietro l'alleanza dell'ultim'ora Kinshasa-Kigali, vi sono forti motivazioni politiche ed economiche. Il boom economico in Ruanda degli anni di Kagame, che governa il paese che ha liberato, in qualità di ribelle tutsi vittorioso sulle forze del male hutu responsabili del genocidio, viene dritto dritto dai saccheggi nella Rdc. Ma anche dalle centinaia di milioni di dollari per la ricostruzione e la pacificazione in Ruanda post-genocidio, che ancora arrivano, sborsati da Onu e Banca Mondiale. A questo vanno aggiunte le ottime relazioni con i paesi occidentali (Francia esclusa), prima fra tutte quella con gli Usa. Buoni uffici che servono anche all'occidente per lavarsi la coscienza. Si dà dunque anche il caso che un rapporto Onu, pubblicato a dicembre, abbia imbarazzato Kagame di fronte agli sponsor, mettendo nero su bianco le gravissime violazioni dei diritti umani commesse dagli uomini di Nkunda, il suo protetto, nel conflitto in Kivu. Kagame ha fatto presto a scegliere tra il rischio di perdere centinaia di migliaia di dollari di donazioni e, peggio, affrontare sanzioni, o allearsi con Kabila per "riabilitare e pacificare" il Kivu. Lo stesso presidente si è fatto due conti. Il rischio che il Ruanda occupasse parte del Kivu era reale. Meglio mettersi d'accordo e spartire il bottino. Al di là delle questioni etniche, quello in Rdc è stato un conflitto per il controllo delle risorse di cui è ricca la zona: oro, diamanti, rame, casserite e coltan, materiale utilizzato per produrre le batterie dei telefoni cellulari. Risorse su cui hanno lucrato tutti i contendenti. La costante instabilità della regione ha fornito copertura ai saccheggi. Se colpevoli sono i paesi africani coinvolti, analoghe colpe pesano sugli acquirenti di quelle risorse che condannano a morte la gente del Kivu.
Fonte: Liberazione

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