martedì 24 febbraio 2009

C'è bisogno di un partito comunista vero con un progetto di cambiamento reale. Ma il PRC è libero di esserlo? I militanti sono la speranza.

di Eugenio Giordano*
Tante volte abbiamo sentito e tuttora ascoltiamo proclami che sono necessari: “Unire le lotte, mettere in campo un progetto, una prospettiva che deve coinvolgere e aggregare”. Tra il dire e il fare c’è sempre, però, di mezzo il mare. In questo caso non è il mare ad essere l’elemento di ostacolo, ma la debolezza, la lentezza a capire che non c’è più tempo da perdere. Prendiamo, ad esempio, lo sciopero del 13: riuscito, grande partecipazione, e poi? Così anche l’11 ottobre, lo sciopero del 12 dicembre e così via. Nelle fabbriche, i lavoratori, anche quelli non iscritti al sindacato, chiedono quale è il passo successivo, la prossima mossa. Una domanda legittima, che da il senso della voglia di ricominciare e partecipare. Regna, invece, sovrana la confusione, la totale assenza di una prospettiva, di elementi chiari di coinvolgimento, che devono mirare ad unire, ma non solo numericamente. Tutto questo mentre la destra mette in campo misure aberranti, come le ronde, gestite dagli ex agenti, oppure, l’introduzione di strumenti assistenziali e non strutturali per la crisi. I lavoratori hanno bisogno d’altro: aumento sensibile di salari e pensioni, innanzitutto. Mentre i poteri forti si coalizzano, per dare un ulteriore sterzata antidemocratica, la Sinistra, i Comunisti continuano nelle loro patetiche divisioni, che hanno ormai il sapore della paura di perdere il potere, quel potere che tanti rincorrono, al di la di ogni morale ed etica politica. Il sentimento di sfiducia, di rassegnazione nei confronti della politica continua, quindi. Al paese, per esempio a quel paese che quotidianamente deve fare i conti con la paura di perdere il posto di lavoro, a quel paese che vive una degenerazione sociale e culturale che non ha precedenti, poco, o niente, importa quale sarà il futuro gruppo dirigente di questa o quella federazione del PRC. Quali saranno i futuri “dirigenti” che guarderanno il “fortino vuoto”, quale sarà il futuro gruppo dirigente che prenderà in consegna il “barile vuoto”. Tutto questo mantiene fuori l’elemento principale: la politica, la piattaforma politica, unico strumento vero per la costruzione di una dirigenza forte e condivisa. Si continua, invece, all’interno del Partito, a ragionare in termini di correnti, del proprio rafforzamento e posizionamento. Le aree politiche hanno un senso, le correnti vanno bandite, se si vuole veramente ricostruire un Partito Comunista vero e di massa. Ricordo sempre, con un misto di nostalgia ed orgoglio, le parole di Gramsci, nel momento della lettura della sentenza del tribunale fascista che lo condannava a 20 anni di reclusione e che diceva pressappoco così: “voi avete distrutto l’Italia, spetterà a noi Comunisti ricostruirla”. Oggi i Comunisti, dovunque collocati, possono citare ancora questa frase? io penso di no! Prosegue, in questo paese, un processo, iniziato da tempo, di degenerazione morale, che ha purtroppo contaminato tutti e tutto, e nessuno può considerarsi immacolato. A ciò stiamo assistendo nel “dibattito” che dopo la scissione si sta avendo in Rifondazione. La corsa ad occupare un posto, rimasto vacante, da chiara l’idea di come in molte realtà, il Partito è, o stia per cadere dalla padella alla brace. Qui entra in gioco un elemento che, a mio avviso, non può più essere sottaciuto: la debolezza del nuovo gruppo dirigente nazionale, la necessità, quindi la convinzione, che questo partito deve ancora sottostare a ricatti interni, perché debole nell’attuare la svolta, quella che tanti hanno sperato da Chianciano in poi. Dopo la scissione andava riproposto con decisione l’elemento del riscatto, il vero valore che possiamo e dobbiamo rimettere in campo e cioè la politica, il progetto, la centralità del Partito, i suoi iscritti, quella immane forza che nonostante tutto e tutti è presente e forte e che rimane, ancora, ai margini. Le prossime tornate elettorali, per esempio, non devono in alcun modo condizionarci negativamente, la nostra partecipazione non deve essere ossessionata dallo scopo di eleggere a tutti i costi, non deve essere questo il primo obiettivo. Bisogna osare, bisogna iniziare da subito la svolta, mettere al centro il Partito, bisogna operare una scelta ora e subito: avviare un processo di moralizzazione ad ogni livello del Partito, dare un segnale di vera discontinuità, ad iniziare dagli uomini e con un progetto che deve essere assunto, metabolizzato e portato casa per casa, posto di lavoro per posto di lavoro, attraverso l’unica risorsa veramente preziosa che il partito ha: gli iscritti, quelli che tanti dirigenti nazionali non conoscono nemmeno, ma che continuano, con dignità, a mantenere forte e viva la speranza della ricostruzione.

*Comitato Politico Federale Napoli
e Coordinatore provinciale - Area sinistracomunista* Napoli

1 commento:

  1. Caro Compagno,
    il PRC non sembra essersi emancipato dagli equilibri interni per essere una forza di reale cambiamento, non è completamente libero. Gli equilibrismi e i condizionamenti istituzionali che ingessano il dibattito politico interno, in questa fase successiva alla "scissione" monca, svela con estrema crudezza la miopia di cui sono affetti i nostri gruppi dirigenti. Non vedono questi Compagni che mentre continuano a giocare a scacchi, stiamo scomparendo nella società? Davvero contano di tornare a far incetta di voti a mezzo clientele? Quanto può durare questo gioco per un partitino come il nostro? Credo e, a questo punto, spero molto poco. Discontinuità o suicidio politico. Saluti amari.
    laura*

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