giovedì 12 febbraio 2009

Botte agli operai: Lo vuole il padrone Maroni acconsente

di Claudio Jampaglia

Milano. Sergio ha preso solo qualche botta alle braccia, il ghiaccio sul gomito, gli è andata bene. Niente di grave, come per gli altri "contusi" feriti alla testa, qualche naso sanguinante, manganellate... Cappellino lappone, piercing al sopracciglio, giaccone e occhialini, Sergio sembra proprio "uno dei centri sociali".
Ma è un operaio. Della Innse. Uno di quelli entrati per ultimi, e la fregatura l'ha presa subito anche se ha imparato a lottare: «Dopo nove mesi tra autogestione della fabbrica e presidio giorno e notte, sotto le neve e la pioggia, non è che ci spaventiamo per questo... poi non siamo pagati da ottobre, niente... capisci che non è che possiamo mollare ora, così, con niente, anche perché cos'altro abbiamo da perdere oltre la fabbrica?». Però la fabbrica non è loro. Ma di un signore che diceva di essere un imprenditore e invece è un distruttore. E polizia e carabinieri ieri mattina, prima dell'alba, sono venuti a ripristinare il diritto del distruttore, la proprietà. Che poi il signore non sia proprietario dell'area (dove non paga l'affitto da mesi) e sia disposto a distruggere la fabbrica pur di non venderla a chi si è già offerto di rilevarla, non conta. Almeno per la Prefettura, il ministero. La proprietà.Dove finisce Milano. tra nuovi condomini, un Esselunga, un MediaWorld, una piazza e un parchetto solitario fin sotto i piloni della tangenziale, ci sono gli ultimi enormi scheletri di capannone dell'Innocenti. Dentro e tutto attorno residui, terra, lamiere e una lunga massicciata di calcinacci, sassi, fango. Qui carabinieri e polizia hanno deciso di procedere alla seconda bastonatura operaia della crisi (la prima fu a Pomigliano). Alle 5.40 di ieri mattina, dopo aver rimosso con una ruspa una barricata di masserizie che sbarrava l'entrata posteriore alla fabbrica, mentre dall'entrata principale su via Rubattino, accorrevano operai e simpatizzanti della lotta che va avanti da mesi, i carabinieri hanno chiarito a chi avesse dei dubbi come si risponde a chi lotta: botte. Che si potevano evitare. Del tutto. Perché il presidio di un centinaio di persone tra lavoratori, centri sociali, studenti dell'Onda, Fiom, delegati di altre fabbriche come Pirelli e Marcegaglia, Prc, Pdci, Sinistra critica con consiglieri provinciali e regionali (tra cui Luciano Muhlbauer che nella carica riporterà una ferita lacerocontusa sulla fronte e altri bernoccoli, e gli assessori al Lavoro e all'istruzione della Provincia, Bruno Casati e Giansandro Barzaghi e l'eurodeputato Vittorio Agnoletto) non sarebbe riuscito comunque a "sfondare". Davanti e attorno centinaia di uomini in tenuta antisommossa. Ma li hanno menati. Quanto basta per fargli capire. E anche dopo alla prima spinta dei più giovani "solidali". Altre manganellate. Quasi di routine. «Una porcata... una vergogna... una pagina buia». Bruno Casati, istituzionalmente, non si dà pace. «Non si toccano gli operai, non si manganella chi chiede il pane, mai. Alla crisi economica così si aggiunge la crisi della democrazia... cose da altri paesi». Con il collega Barzaghi è corso in prefettura a dire "mai più" a Gian Valerio Lombardi che il tutto ha autorizzato. Hanno ottenuto promesse di un allentamento della tensione e di un congelamento della situazione fino a marzo. Si vedrà. Perché il prefetto ha detto picche nei giorni scorsi a Rinaldini ed Epifani che hanno chiesto di persona di evitare la prova di forza. Il prefetto dipende da Roma. Ma sono ordini che arrivano dal Nord. Dalla Lega. Bisognerebbe chiedere al ministro Maroni perché 40 operai che presidiano una fabbrica e chiedono di verificare che non vengano smantellati i macchinari che hanno custodito, autogestito (cliente, consegne e pagamenti compresi) per quasi un anno, diventino un problema primario di ordine pubblico. Non sono lavoratori e per di più del Nord, signor ministro? «Il signor Genta si è preso i soldi della legge Prodi (e la formazione e gli aiuti della Provincia, N.d.R.) per far funzionare la fabbrica non per smantellarla ed in più preclude l'entrata di altri soggetti più che intenzionati a rilevare e rilanciare la produzione, come lo chiamate voi uno così?». Bisognerebbe chiederlo al vice-ministro Roberto Castelli (Lega) che ha presentato Genta alle istituzioni come salvatore della Innse, «e l'abbiamo accolto a braccia aperte», dice ammareggiato Casati. Tanto più che nel concreto il Genta, ieri, ha fatto ciò per cui si era già accordato coi lavoratori senza bisogno di cordoni della celere: ha preso del materiale, senza smantellare i macchinari principali. Ancora più demenziale e imbarazzante per prefettura e questure. Perché alla fine i due furgoni alti e il camion scoperto che centinaia di uomini si sono scomodati a proteggere si portano via del legname, un quadro elettrico e gli strumenti di bilanciamento di una pressa. Niente. A fronte di feriti, rabbia, soldi pubblici e probabili strascichi giudiziari vista la decina di persone identificate dalla Digos e accusate di aver colpito poliziotti con chiavi inglesi e bulloni di ferro (sei contusi dichiarati tra le forze dell'ordine, ma abbiamo visto solo due carabinieri, in piedi, che lamentavano colpi alle gambe). Il tutto, praticamente, per niente. Gli operai continuano a presidiare fuori. Ma polizia a parte, «dove erano stamattina le altre istituzioni», chiede Giansandro Barzaghi, l'assessore provinciale che si era incatenato ai cancelli della Innse solo poche settimane fa. Qualche imbarazzo c'è, vista l'unanime e immediata solidarietà al consigliere contuso di Rifondazione votata in Regione e la celerità con cui l'assessore al lavoro Rossoni ha concesso per domani un incontro con la Rsu della Innse (nelle settimane scorse ci avevano provato invano). Allora le manganellate servono a qualcosa? No. «Anche perchè siamo solo all'assaggio di quello che sarà la crisi - risponde Casati - e non possiamo permetterci che venga gestita come un problema di ordine pubblico. La politica faccia il suo mestiere, trovi le soluzioni... finora il Comune latita completamente e la Regione ha una posizione pilatesca». Anche perché, Provincia a parte, qualcuno ci ha provato davvero a far prevalere le ragioni d'impresa e lavoro su quelle proprietarie speculative? «Ci dicono che dobbiamo metterci in testa che è finita, che non c'è niente da fare per questi lavoratori e questa produzione - denuncia Roberto Giudici della Fiom, che ieri è entrato nella fabbrica dopo averle prese anche lui dai carabinieri - ma nessun tavolo è mai stato convocato con l'obiettivo di mantenere lavoro e produzione... di cosa stiamo parlando allora?».Stiamo parlando di un'area di decine di migliaia di metri quadri dismessi pronti a diventare cubi tra edilizia, uffici, servizi. Di una proprietà dell'area in via di ricapitalizzazione con nuovi padroni che potrebbe avere altri progetti da quelli produttivi. E di una fabbrica unica (chi costruisce più le grandi presse?), con "solo" 49 lavoratori, che potrebbero diventare il triplo nei piani di sviluppo della bresciana Ormis che ha avanzato una formale richiesta d'acquisto. Solo che c'è il signor Genta, quello presentato dalla Lega che ha incassato soldi pubblici e adesso manda la polizia contro i suoi lavoratori. Qualcuno ci dica cosa si sta giocando su quell'area. Quali interessi. Quale "esempio" rappresenti questa storia. Perché, a furia di sgomberi (ieri l'ufficiale giudiziario ha consegnato l'ennesimo rinvio di sfratto al Leoncavallo al 16 aprile), retate di migranti, proposte di ricoveri coatti per i senza fissa dimora, criminalizzazione di qualsiasi cosa si muova in strada, finirà davvero che più che uno stivale l'Italia sarà un anfibio di celerino.
Fonte: sinistracomunista.it

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