mercoledì 18 febbraio 2009

Tagli al welfare, vicini alla catastrofe

di Antonio Ferraro*

Non temiamo di correre il rischio di apparire catastrofisti perché, purtroppo, quella che si sta profilando ha tutte le caratteristiche di una catastrofe sociale. Assistiamo ad un aumento di disoccupazione, povertà, disuguaglianze.
Gli effetti della crisi, che si schiantano sulle fasce più deboli della popolazione, vengono appesantiti dalle politiche irresponsabili del Governo; politiche che puntano allo smantellamento dello stato sociale per far posto ad un welfare residuale e caritatevole. Insomma, il nostro sistema di protezione sociale, già poco adeguato in condizioni di "normalità", viene reso impotente di fronte al nuovo scenario socioeconomico. Nessuna risposta strutturale contro la crisi, solo tanta demagogia mentre l'Italia affonda. Basterebbe essere consapevoli della situazione così come descritta per muovere una stagione di lotta dura in difesa dei diritti sociali calpestati. I tagli di 3,5 miliardi apportati dal Governo così pesanti da compromettere anche quella forma residua di redistribuzione del benessere rappresentata dal sistema dei servizi. Tutto questo, ricordiamolo, in un Paese che ha la spesa sociale tra le più basse d'Europa (25,5% del Pil contro la media europea del 26,7%). Passando ai numeri, ci rendiamo conto della portata drammatica della manovra sommando i tagli del 2008 con quelli del triennio 2009-2011 inseriti nella tabella C della legge finanziaria. I fondi destinati alle politiche sociali sono ridotti di oltre 3,5 miliardi di euro. Più precisamente: il fondo nazionale per le politiche sociali subisce un taglio di circa 2 miliardi rispetto al 2007 (-300 nel 2008; -350 nel 2009; -630 nel 2010; -700 nel 2011); il fondo per la famiglia di 318 milioni (-90 nel 2009; -90 nel 2010; -138 nel 2011); quello per le politiche giovanili di 190 milioni (-58 nel 2009; -56 nel 2010; -76 nel 2011); quello per le pari opportunità di 96 milioni di euro (-14 nel 2009; -41 nel 2010; -42 nel 2011); il fondo nazionale per l'inclusione dei migranti viene azzerato (stanziati 100 milioni di euro nel 2007). Inoltre, dal 2010 non viene previsto neanche 1 centesimo per il fondo nazionale sulla non autosufficienza, che oggi ammonta a 400 milioni di euro.Prima toccherà, senza alcun dubbio, ai servizi per i migranti, poi a quelli per i tossicodipendenti, poi a quelli per l'infanzia, per le persone con disabilità, per gli anziani e così via fino al crollo di ogni garanzia universalistica dei diritti di cittadinanza delle persone. L'alternativa sarà rappresentata, per chi potrà permettersela, dai servizi offerti sul mercato.È necessaria una mobilitazione convinta contro questo Governo "sociopatico" e il 13 febbraio è stata anche l'occasione per ribadire che non vi può essere crescita economica senza crescita sociale.La nostra proposta deve contemplare al centro la questione sociale per rilanciare un modello di welfare pubblico ed inclusivo, che sia articolato omogeneamente su tutto il territorio. Per questo non è più rinviabile la definizione dei livelli essenziali di assistenza sociale, trovando la copertura economica attraverso la ripresa della lotta all'evasione fiscale e l'armonizzazione a livello europeo della tassazione delle rendite finanziarie .Dato che la definizione dei livelli spetta allo Stato, che sembra più intenzionato ad incrementare le disuguaglianze con il federalismo fiscale, il ruolo delle regioni e degli enti locali risulta fondamentale nell'attuale fase di crisi, soprattutto per il mantenimento e il miglioramento dei servizi essenziali. Di certo non sarà facile con questi tagli, ma se avviamo un piano organico interregionale, in cui le politiche del welfare interagiscono e si integrano fra loro contaminando la rete dei servizi sociali, sanitari ed educativi, possiamo concretamente ammortizzare, se non ribaltare, gli esiti della catastrofe. Inoltre, per rendere le politiche sociali un efficace strumento di inclusione e di redistribuzione del benessere, va incentivata la partecipazione attiva delle formazioni sociali alle scelte e alla progettazione degli interventi sul territorio. E la modalità concreta per facilitare momenti di partecipazione dei cittadini è rappresentata senz'altro dal bilancio sociale territoriale. Un esempio lodevole ci viene dal comune di Lodi, dove i cittadini sono presenti nelle varie fasi di individuazione dei bisogni, di sviluppo e valutazione degli interventi offerti, come nei piani di zona. Esperienze buone che vanno conosciute e replicate per non rimanere nell'astrattezza della mera retorica su dei temi che richiedono, invece, pratiche concrete.
Fonte: sinistracomunista.it

*Responsabile nazionale Politiche sociali del PRC

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