martedì 24 febbraio 2009

Le elezioni sarde, la crisi del PD e la prospettiva di Rifondazione Comunista

Intervista a Gianluigi Pegolo, segreteria nazionale PRC - Area Democrazia Istituzioni

di Yassir Goretz

Quale giudizio dai del risultato delle elezioni sarde?
Un giudizio negativo per quanto riguarda la coalizione di centro sinistra. Il risultato è molto deludente e la responsabilità, prima ancora che di Soru, è imputabile al crollo del PD, che non a caso ha determinato le dimissioni di Veltroni.
E per quanto riguarda Rifondazione?
Il risultato è incoraggiante. Raggiungiamo quasi il risultato dell’Arcobaleno alle politiche; rispetto alle precedenti regionali segniamo un arretramento, ma contenuto. Possiamo ragionevolmente sostenere che Rifondazione Comunista sta riprendendosi dopo la sconfitta delle politiche. Il trend è positivo. Il risultato, infatti, è migliore di quello abruzzese di pochi mesi fa.
Si può trarre un’indicazione per le future elezioni europee?
Dato il buon risultato del PDCI e quello di Rifondazione Comunista si può sostenere che una lista aperta che raccolga forze comuniste ed anticapitaliste costituisce una soluzione convincente in vista delle europee. Occorre, tuttavia, non banalizzare…..

In che senso?
Ho letto in questi giorni dichiarazioni superficiali, all’insegna del trionfalismo, che si poggiano su un’analisi grossolana dei dati. Mi spiego: il dato sardo, per essere colto nella sua potenzialità in vista delle europee, va calibrato, tenendo conto sia del differenziale fra dato regionale e dato medio nazionale, sia dei possibili effetti della scissione in corso in Rifondazione Comunista, sia, infine, della dispersione di voti che inevitabilmente una lista unitaria comporta. Questo significa che per essere certi del superamento del 4% non basta Rifondazione Comunista e il PDCI, ma occorre una “terza gamba”, che va ricercata, in primo luogo, nella sinistra sociale, oltre che in quella politica.

Quindi l’”unità dei comunisti” non basta?
Le forze comuniste sono fondamentali, ma non bastano, almeno per quanto riguarda il superamento della soglia di sbarramento delle europee. E in ogni caso considererei davvero azzardato illudersi su un suo facile superamento. Chi si occupa di dati elettorali e ha un po’ di dimestichezza sulla loro interpretazione lo sa bene.

Torniamo al risultato sardo. Il PD subisce una debacle. Come te la spieghi?
Se pensiamo al fatto che Soru per agevolare il PD non ha più presentato la propria lista e che il PD ha inserito nel suo simbolo il richiamo allo stesso Soru è evidente che in Sardegna tutto è stato fatto per favorire il PD e, nonostante questo, il risultato è stato disastroso. Questo cosa significa? Che il risultato trascende la regione e, dopo la vicenda analoga dell’Abruzzo, dimostra che la crisi del PD è generale. Una crisi profonda, non congiunturale.

Di fronte alla crisi del PD cosa deve fare Rifondazione?
Rifondazione ha espresso un giudizio sul PD che trova conferme ogni giorno. Questo partito è impossibilitato a svolgere il ruolo di opposizione al centro-destra perché gli interessi che punta a rappresentare e la proposta che avanza per la società italiana gli impediscono di adempiere ad una funzione alternativa. Mi pare, anzi, che con le vicende sulle europee o sul federalismo fiscale siamo entrati in una fase di ulteriore arretramento su posizioni oggettivamente funzionali alla strategia della destra.

Vi può essere una ripresa del PD?
Non è facile. Personalmente ritengo che dopo il fallimento di Veltroni l’ipotesi più probabile è che si tenti una ricollocazione più conflittuale col centro destra cercando di assimilare la sinistra moderata, senza rinunciare a flirtare con l’UDC. La prospettiva è stata delineata da D’Alema e punta ad un nuovo centro-sinistra, ma con una parvenza di sinistra, sempre più integrata nel PD. E’ l’approdo a cui è destinato il gruppo di Vendola e la nuova formazione della sinistra in gestazione. Un’esito davvero avvilente per chi, fino a qualche mese fa, preannunciava la nascita di una formazione di sinistra capace di competere col PD. In ogni caso, e’ tutto da dimostrare che una parziale modifica di collocazione del PD lo faccia uscire dalla crisi. Sono invece piuttosto scettico sulla possibilità che quel partito si spacchi.

Ma la crisi del PD cosa comporta per Rifondazione?
Io non credo che, come alcuni sostengono anche a sinistra, la crisi del PD comporti automaticamente la crescita di forze antagoniste e comuniste. Se fosse così potremmo stare tranquilli, ma i risultati elettorali ci dicono che il trasferimento di consensi non è automatico e, infatti, Rifondazione Comunista anche nelle elezioni sarde non intercetta automaticamente i consensi perduti dal PD, che si distribuiscono in molte direzioni, ma probabilmente ancora di più verso il non voto o la protesta delle schede nulle

Che fare allora?
Il problema è che la sconfitta subita dall’Arcobaleno alle politiche ha segnato un punto di svolta. Una prospettiva comunista ha oggi -io credo- una maggiore credibilità di prima, non fosse altro per il fatto che - come già si vede- i tentativi di scorciatoie arcobaleniste non portano da nessuna parte, ma questa prospettiva richiede la riconquista di credibilità nella proposta, nell’iniziativa sociale e nella coerenza dei comportamenti. Non si tratta di un processo facile. Occorre partire dalla battaglia di opposizione, riuscire a connettersi ai movimenti di lotta, e soprattutto interpretare i bisogni della gente, che oggi significa in primo luogo saper dare risposte credibili alla crisi.

Qui si apre la questione dei governi locali. Che fare con le giunte dover Rifondazione è col PD?
Non esistono automatismi. Il fatto è che nei governi locali gli stessi elettori di Rifondazione Comunista misurano il nostro partito sulla base della connessione che esiste, o che prevedono possa esservi, fra loro bisogni ed aspirazioni e contenuti concreti dell’azione amministrativa. Il giudizio sul PD, per questi stessi elettori, discende dall’operato dei suoi amministratori: se un comune lavora bene, se vi è attenzione ai problemi sociali, se si difendono le funzioni pubbliche, se vi è impegno sul fronte dei diritti, se vi è cultura democratica e non vi sono indulgenze nei confronti di discriminazioni e razzismi il nostro elettorato è disposto a concedere fiducia. In questi casi le alleanze non solo sono possibili ma sono anche consigliabili. In caso contrario meglio stare all’opposizione.

Ma non è sempre più difficile fare buoni accordi?
Certo lo è più di prima, per l’involuzione moderata del PD, ma questo non fa venir meno il principio fondamentale: le alleanze si fanno in primo luogo sui contenuti, non su una valutazione astratta sulla singola forza politica. Voglio fare un esempio. Il PD ha recentemente appoggiato l’introduzione di uno sbarramento per le elezioni del parlamento europeo del 4% per impedire a Rifondazione Comunista e alle altre forze di sinistra di ottenere una rappresentanza al parlamento europeo. Si è trattato di una scelta che ha prodotto nel nostro elettorato una giusta reazione di sdegno. Eppure, anche di fronte ad un comportamento così odioso, se tu in un comune ti appelli a questo fatto per giustificare il mancato accordo col PD nessuno ti capisce, perché giustamente l’elettore ti chiede, in primo luogo, di garantire una politica amministrativa adeguata e su questo ti giudica.

Ma non vi è il rischio che ponendo al centro i contenuti si finisca col favorire accordi al ribasso?
Questo ovviamente non dipende dal fatto che la bussola sia incentrata sui contenuti, quanto dal fatto che se si subordinano i contenuti alla volontà di fare accordi a tutti i costi si finisce col fare la caricatura del confronto sui contenuti.

E la rottura prodottasi a Bologna?
La vicenda di Bologna in realtà è il risultato dell’inadeguatezza di una parte del gruppo dirigente del partito locale. Il paradosso è che a Bologna il segretario della federazione si dimette ed esce dal partito, non perché si fa un brutto accordo col PD (nel qual caso sarebbe stato comprensibile), ma perché si avvia il confronto col PD, e non solo col PD, sul programma. Non solo, questo avviene dopo che per mesi lo stesso segretario accetta il confronto. E il peggio è che lo stesso modifica la propria posizione senza che sul piano locale siano emersi fatti nuovi e significativi che giustifichino tale cambiamento. E questo mentre nel federale si decide che, in ogni caso, dopo la verifica programmatica la decisione ultima spetterà all’intero corpo del partito attraverso un’ampia consultazione.

Ma a tuo parere il confronto andava accettato o no?
Io credo che quando l’organismo dirigente di un partito decide di avviare un confronto con altre forze politiche, è giusto essere conseguenti ed andare a tale confronto. Si tratta di un elementare principio di democrazia, quando poi si giungerà alla conclusione del percorso occorrerà pronunciarsi di nuovo. Personalmente sono molto critico nei confronti di gruppi dirigenti che cambiano in continuazione opinione, a meno che non vi siano motivi validi. Nel merito, la decisione è stata assunta del tutto autonomamente dai livelli locali sulla base di una valutazione, e cioè che l’uscita di scena di Cofferati creava una condizione nuova, che permetteva di andare a verificare se era possibile introdurre elementi di discontinuità.
Non mi pare vi sia in ciò nulla di scandaloso, e in ogni caso non pregiudica l’autonomia politica di Rifondazione.

Ma questa prassi del confronto sui contenuti non rischia di compromettere Rifondazione, data la caduta di credibilità del PD?
Se dovessi basarmi sulle ultime consultazioni in Abruzzo e in Sardegna direi che non è così. In quei casi Rifondazione Comunista ha accettato il confronto e, per esempio, nel caso dell’Abruzzo fino all’ultimo vi è stata la possibilità di una rottura, perché i nostri compagni sono stati molto determinati nel porre alcuni vincoli. Alla fine questa linea è stata premiata e i risultati elettorali lo stanno a dimostrare. E questo è avvenuto – lo sottolineo – mentre il PD crollava.
Fonte: sinistracomunista.it

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