giovedì 19 febbraio 2009

La crisi dirompente

di Toni Colloca
Una crisi dirompente sta sconvolgendo l’economia mondiale e italiana ha effetti sempre più devastanti sull’occupazione e sul reddito delle famiglie.

Una delle forme per venirne a capo è la messa in discussione della teoria del “libero mercato” che ha ammorbato per tre decenni la vita politica mondiale.

I fautori del mercato hanno sempre dichiarato che esso rappresentava il regolatore economico per eccellenza in quanto le oscillazioni dei prezzi si sarebbero equilibrate per effetto della libera concorrenza e che questa avrebbe fatto diminuire i prezzi al consumo.

La tesi si è rivelata fallace per diversi motivi:

- La libera concorrenza si è spostata dal singolo produttore alle multinazionali, determinando una caduta del costo del lavoro gigantesca. Da ciò ne è conseguito un generale crollo del potere d’acquisto dei salari. Al contempo è aumentato enormemente il ritmo di produzione fino allo sfinimento, e tale intensificazione ha determinato un aumento di plusvalore per unità di prodotto e una sovrapproduzione di merci.
- La sovrapproduzione a sua volta ha determinato la saturazione del mercato e la stagnazione. Le giacenze in magazzino e il crollo degli ordinativi sono un indice evidente della crisi da sovrapproduzione.
- La crisi, a sua volta, ha determinato l’eccesso di forza lavoro che non ha modo di essere impiegata visto la stagnazione economica. Inoltre, la legge intrinseca (oggettiva) del Capitale determina la necessità di distruggere le forze produttive per poter far ripartire il ciclo economico (produzione - sovrapproduzione - crisi - distruzione forze produttive - nuovo ciclo). Solo gli economisti al servizio della classe dominante non accettano lo schema per ovvie ragioni di bottega.
- Quindi, anche se i prezzi al consumo diminuissero considerevolmente mancherebbe l’altro elemento della contraddizione: il potere d’acquisto.
- Gran parte dei profitti realizzati nei tre decenni sono stati dirottati verso il capitale finanziario, ossia verso la creazione di plusvalenze parassitarie, che non solo NON producono nulla, ma contribuiscono alla situazione di stagnazione e di distruzione produttiva.

Per ripartire occorre portare fino in fondo la critica alle teorie liberiste, occorre criticare aspramente i fautori del capitale finanziario denunciandoli come una delle forme più perniciose di parassitismo sociale che nuoce gravemente alla società.

Bisogna criticare fino in fondo il modello di produzione che si basa sulla sovrapproduzione di merci ed è incentrato sul modello della mobilità veicolare individuale.

Tale modello oltre a non essere sostenibile sul piano ambientale – non è pensabile il modello: “un’automobile per ogni abitante del pianeta”, così come non è ipotizzabile avere persino più auto, elettrodomestici, ecc… per abitante – si deve cambiare radicalmente verso un modello sobrio ed equilibrato di risorse disponibili, e deve essere accompagnato da forme di collettivizzazione dei servizi e di pianificazioni economiche intelligenti.

Senza programmi e piani economici coerenti, senza sobrietà, senza sostegno collettivo, senza rivedere il modello dell’impiego della forza lavoro la crisi potrà solo peggiorare le disparità e aumentare la polarizzazione tra ricchi, sempre più ricchi e poveri, sempre più poveri.

La parola d’ordine “lavorare meno, lavorare tutti” deve tornare ad essere il cardine dell’azione politica.

Lavorare meno e tutti per due ragioni essenziali: una riguarda la qualità della vita e il modo di impiegarla, liberando tempo utile per la crescita personale. La seconda ragione è il rallentamento del ritmo di produzione delle merci perché non c’è una sola ragione razionale perché si debba produrre in modo forsennato merci che nessuno o pochi possono acquistare e inoltre non c’è ragione perché, in alcune regioni del mondo, le persone debbano detenere una sovrabbondanza dello stesso prodotto per soddisfare l’offerta spropositata di merci. A meno che non si voglia sostenere che ciascuno deve comprare e possedere quattro o cinque volte lo stesso oggetto in occidente, mentre in altre parti del mondo vi sono persone che non possiedono nemmeno l’acqua da bere.

In questi anni abbiamo assistito all’orgia consumista in occidente e nei paesi emergenti, ciascun individuo è stato indotto a falsi bisogni (possedere un numero spropositato di televisori, persino in bagno; avere sempre nuovi cellulari, cambiare automobile in continuazione) con effetti distorsivi sotto gli occhi di tutti.

Le fabbriche hanno prodotto a pieno ritmo, il nord est ha prodotto forsennatamente dilatando la giornata lavorativa oltre ogni limite e facendo lavorare in nero migliaia di migranti, con quale risultato?

Che oggi tutti sono con l’acqua alla gola, le fabbriche chiudono una dopo l’altra lasciando, al posto delle belle campagne di un tempo, gli spettrali capannoni deserti.

L’agricoltura è stata annientata e in compenso abbiamo ettari di cementificazione senza senso che, oggi, non trova acquirenti e lascia un senso di sgomento.

I capannoni vuoti del Nord Italia sono l’esempio lampante della anarchia della produzione capitalistica – è il mercato, bellezza!” - che, oltre al danno, lascia dietro di sé la beffa di aver devastato, per un nulla di fatto, ettari di campagna. Bel risultato!

Nei prossimi mesi e anni vedremo che la distruzione delle forze produttive ci renderà sempre più simili ai paesi poveri dove la forza lavoro viene impiegata per una ciotola di riso.

Come venirne a capo?

Dentro il quadro di produzione capitalistico non si può che teorizzare una temporanea attenuazione degli effetti della crisi, ben sapendo che è ineliminabile la distruzione di valore e delle forze produttive, perché oggettivamente compresa, intrinseca, nel modo di produzione capitalistico.

Per attenuare gli effetti della crisi, le rivendicazioni devono quindi andare al cuore del problema:

- Redistribuzione della ricchezza prodotta – affinché oltre alle misure di maggior equità corrisponda un migliore potere d’acquisto; Tassazione fortemente progressiva per consentire una maggiore equità sociale
- Aumento delle forme di protezione sociale per gli inoccupati e i disoccupati (salari di disoccupazione, forme di sostegno al reddito familiare, al mutuo casa, all’affitto, edilizia popolare diffusa, ecc…) – affinché vi sia un reddito di sostegno e forme di protezione e di sussistenza, e per avere almeno un tetto sopra la testa;
- Diminuzione dei costi dei servizi per le fasce meno abbienti e i redditi medio-bassi (acqua, luce, gas, rifiuti, ecc…)
- Investimenti massicci nella formazione permanente dall’infanzia alla maturità nella scuola che deve diventare un luogo di cultura delle singole comunità, aperte con orari fruibili anche alla sera; più laboratori di ricerca, più formazione, più strumenti adeguati per la formazione, unendo teoria e pratica;
- Investimenti e occupazione nel settore delle energie alternative soprattutto nel solare di cui è ricco il Paese, determinando energie pulite e a basso costo;
- Investimenti e occupazione nel settore delle materie derivate dalla filiera del riciclo;
- Mettere il capitale finanziario parassitario sotto controllo dello Stato e smetterla con il mercato fittizio del denaro. Tornare all’economia reale dopo quella immateriale. Denunciare costantemente la truffa aggravata operata dalle banche, dalle finanziarie, dai promoter che appestano l’aria. Denunciare lo spostamento e la dissoluzione di risorse collettive a vantaggio delle grandi holding finanziarie che distruggono valore e ricchezza prodotta, sottraendolo al popolo.
- Mettere alla berlina i guadagni dei cosiddetti top manager privati e pubblici che gravano sulla pelle della collettività, senza peraltro aver mai raggiunto i risultati vantati e lautamente retribuiti.

Questi sono solo alcuni spunti che potrebbero essere al centro di una visione politica della crisi.

In questi anni la borghesia liberista ha tuonato contro ogni ricetta che violasse le regole d’oro del mercato e la Sinistra è implosa abbandonando ogni forma di resistenza, anche culturale.

Oggi che le leggi del libero mercato sono andate a farsi fottere e che è sotto gli occhi di tutti la loro vacuità, è tempo che la Sinistra in Italia la smetta di balbettare e riprenda a smascherare gli imbrogli degli imbonitori.

Non c’è berlusconismo o veltrusconismo che tenga: il re è nudo, le sue vergogne sono state coperte “a sinistra” per troppo tempo, gli uomini e le donne che non vogliono più essere presi in giro dai venditori di fumo si aspettano che qualcuno dica cosa bisogna fare per riprendere la vita nelle loro mani.
Fonte: resistenze.org

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