mercoledì 18 febbraio 2009

Quella eredità non è una parentesi chiusa resta un antidoto al moderatismo della politica

di Gianluigi Pegolo*

Mi ha sorpreso, non poco, l'articolo di Franco Russo per il suo intento palesemente demolitorio. Nulla si salva della storia del Pci, rappresentata come la vicenda di un soggetto oscillante fra tentazioni al compromesso e propensioni moderate, fra intenti repressivi e volontà di controllo dei movimenti di lotta.
Il primo paradosso di questo approccio sta nella distanza evidente fra rappresentazione e realtà. Come sia possibile che un simile partito, viziato da tali impostazioni, abbia potuto diventare così importante nella realtà nazionale e internazionale resta a questo punto un mistero. Né è convincente - come fa Russo - tentare di superare questo paradosso attribuendo i meriti dell'avanzamento sociale, che indubbiamente conobbe il paese, alla sola azione dei movimenti. Né si può disconoscere che, con tutti i suoi limiti, il Pci seppe mantenere un rapporto dialettico con i movimenti, anche in momenti difficili. La verità è che il progresso sociale e la tenuta democratica del paese devono molto al Pci, come giustamente Burgio ricorda nel suo articolo. E, tuttavia, il punto fondamentale in una discussione sul Pci non sta tanto - a mio avviso - nel riconoscimento dei suoi meriti. A parte alcune estremizzazioni - come quelle presenti nell'articolo di Russo, non scevre, io credo, da un evidente intento polemico - in generale, almeno negli ambienti democratici e di sinistra, tali meriti vengono riconosciuti. La vera questione sta semmai nel tentativo, oggi prevalente, di sterilizzare quell'esperienza, considerandola una parentesi chiusa, ormai incapace di offrire spunti fecondi. Come giustamente ha sottolineato nel suo contributo Chiarante, sia che la si legga come variante del modello terzinternazionalista, che di quello socialdemocratico, alla fine il punto di approdo generalmente acquisito è la sua inutilità nella definizione di un progetto di trasformazione. E' di questo, allora, che si deve discutere: l'esperienza del comunismo italiano ci è utile oggi per definire una prospettiva di cambiamento del paese, che fuoriesca dall'approccio compatibilista e moderato prevalente a sinistra, senza cadere all'opposto nella semplice apologia del movimento?A me pare di sì, ed anzi mi permetto di aggiungere qualcosa di più. Pur riconoscendo come quella esperienza sia in larga misura datata, e abbia conosciuto limiti ed errori, nondimeno a me pare che negli ultimi venti anni i danni maggiori a sinistra siano venuti dal tentativo di rinnegarla, per cimentarsi in nuovi percorsi rivelatisi fallimentari. Ciò vale per lo scioglimento del Pci, con tutti gli effetti devastanti che ha prodotto per la sinistra italiana, con l'omologazione crescente al neoliberismo, la deriva moderata delle culture politiche, l'indebolimento dei movimenti di massa e il generale arretramento delle condizioni materiali delle fasce popolari. Ma vale anche oggi, nel momento in cui l'ennesima scissione di Rifondazione Comunista si consuma - a ben vedere - sugli stessi temi. Tutto ciò costituisce una dimostrazione - a contrario - dell'essenzialità di un riferimento comunista nella storia della sinistra italiana. Ma c'è di più, il comunismo italiano, almeno nella sua ispirazione di fondo, conserva una sua fecondità relativamente all'interpretazione della società italiana, alla concezione della lotta di massa e all'idea di partito. Si pensi ad un'idea della rivoluzione che supera il tradizionale impianto leninista della presa del potere per via insurrezionale, si pensi al contributo essenziale all'interpretazione delle società a capitalismo avanzato con l'analisi dell'articolazione sociale e l'intreccio fra dimensione strutturale e sovrastrutturale, si pensi all'idea del partito, che va ben oltre la concezione del rivoluzionario di professione, per approdare all'idea di intellettuale collettivo e poi di partito di massa. In tutto questo vi è un'idea non minoritaria del ruolo di un partito comunista, il suo fondamento nel conflitto di classe e nel radicamento sociale, una sua funzione di emancipazione e di educazione delle classi subalterne. Senza contare il contributo essenziale ad un'idea di democrazia che tenta di oltrepassare i limiti delle concezioni liberali, sforzo che traspare fin dal contenuto del testo costituzionale. Quando oggi riproponiamo l'attualità di un partito comunista, potremmo davvero rinunciare a questo bagaglio di idee, di esperienze e di pratiche sociali?
Fonte: Liberazione

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